Scenario economico italiano: crescita e debolezze strutturali

Negli ultimi tre anni, l’Italia ha registrato una crescita del PIL pro capite pari a **0,8%** medio annuo. Questa espansione, come sottolineato da Gabriele Barbaresco, Direttore Area Studi di Mediobanca, è attribuibile quasi esclusivamente all’aumento dell’occupazione e delle ore lavorate, piuttosto che a un vero recupero di produttività. Un trend che mette in evidenza alcune debolezze di fondo del sistema economico nazionale.

La questione centrale sollevata da Barbaresco durante l’incontro stampa organizzato da Centromarca a Milano riguarda la mancanza di un incremento reale della produttività oraria. Infatti, senza l’apporto dell’aumento occupazionale e delle ore lavorate, la produttività avrebbe segnato una flessione dell’1,3%. Questo dato riflette l’incapacità delle imprese e delle industrie di Marca di innovare abbastanza rapidamente per sostenere la competitività internazionale.

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Il 2023-2024 ha visto, nel settore della manifattura, un incremento dell’occupazione del 2% a fronte di un calo del 5,3% della produzione. Questo squilibrio sottolinea l’emergere del cosiddetto lavoro improduttivo e l’ampliamento dei settori a basso valore aggiunto, fenomeni che rallentano l’evoluzione del tessuto economico.

Salari, produttività e contesto competitivo europeo

Oltre alla produttività, il tema salariale rimane al centro delle preoccupazioni di Mediobanca. Nel primo semestre del 2025, la retribuzione oraria reale italiana si attesta a circa il 5% in meno rispetto ai livelli del 2019, periodo in cui già si segnalava una stagnazione dei salari. Questa dinamica non solo penalizza il potere d’acquisto, ma incide pesantemente sulla percezione della qualità della vita lavorativa nel Paese.

Il legame tra salario e produttività si fa sempre più stringente: secondo Barbaresco, l’Italia non riesce a colmare il gap rispetto agli altri grandi Paesi europei dove la crescita si basa su fattori strutturali più solidi. Inoltre, nel comparto manifatturiero italiano, la difficoltà a migliorare la produttività totale dei fattori è dovuta a inefficienze sistemiche e alla mancanza di investimenti in innovazione.

Per fronteggiare queste criticità, è fondamentale promuovere politiche di formazione, di ricerca tecnologica e di sostegno al capitale umano. Strategie di questo genere possono rendere più competitivo il sistema-Paese, favorendo l’emergere di settori a più alto valore aggiunto e riducendo le disparità di reddito tra lavoratori. In quest’ottica è importante conoscere metodi per aumentare la propria employability e occupabilità.

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Mercato occupazionale e fabbisogno lavorativo al 2028

Una delle sfide più imponenti per l’Italia riguarda la capacità di rispondere al fabbisogno occupazionale previsto entro il 2028. Le stime evidenziano una necessità di forza lavoro compresa tra 3,1 e 3,6 milioni di persone, di cui l’80-90% sarà richiesta per puro replacement (sostituzione di lavoratori uscenti). Il crescente labour shortage – ovvero la scarsità di candidati – si traduce in oltre il 50% dei contratti di lavoro con difficoltà di reperimento, rispetto al 26% del 2018.

Secondo Barbaresco, i due terzi di questo fenomeno sono direttamente legati al labour shortage, che pesa per circa 2,5 punti percentuali di PIL sul sistema economico italiano. La situazione è particolarmente critica in alcuni settori industriali che soffrono maggiormente la carenza di specializzazione tecnica e la scarsa attrattività delle nuove generazioni verso determinati mestieri.

Nonostante queste difficoltà, l’industria manifatturiera italiana conserva una marcata propensione all’export, trainata dalla qualità, dalla specializzazione e dalle competenze tecniche consolidate nel tempo. Tuttavia, il peso crescente del costo dei beni intermedi e soprattutto dell’energia (cresciuto del 20% tra 2020 e 2025) rappresenta un fattore penalizzante nel contesto europeo e internazionale. Per chi vuole approfondire i migliori strumenti per costruire solide reti professionali, sono disponibili guide pratiche fondamentali per rimanere competitivi.

Prospettive di riforma e il ruolo di imprese e istituzioni

All’interno dei punti di forza storici dell’Italia, come l’industria medtech e il capitalismo familiare, trovano spazio nuove insidie e opportunità. Secondo Barbaresco, la risposta deve articolarsi su due fronti principali: da una parte il decisore politico dovrebbe incentivare la crescita dei settori a maggiore valore aggiunto e promuovere l’autonomia strategica; dall’altra, il ceto imprenditoriale è chiamato a finalizzare la transizione digitale come investimento e a passare dalla semplice adozione all’effettiva assimilazione nelle pratiche aziendali.

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Un altro aspetto cruciale riguarda il rafforzamento delle logiche di filiera per ridurre la distanza tra imprese leader e aziende ritardatarie. Le imprese di testa dovranno posizionarsi nei segmenti premium delle Catene globali del valore (Cgv) e trasferire conoscenze alla rete dei fornitori nazionali, sostenendo così l’ecosistema produttivo.

L’innovazione passa anche attraverso i fondi di Private Equity, oggi orientati sempre più alla crescita imprenditoriale piuttosto che alla sola efficienza operativa. Ma soprattutto, il vasto risparmio privato italiano deve essere canalizzato verso l’economia reale, per sostenere investimenti produttivi e accelerare il cambiamento. Per chi intende cogliere queste nuove sfide, imparare a scrivere un curriculum efficace resta fondamentale per emergere sul mercato.

Il futuro del lavoro italiano dipenderà dalla capacità di modernizzare la governance, di investire negli asset intangibili e di essere reattivi alle trasformazioni digitali, garantendo una crescita sostenibile e inclusiva per tutti i segmenti produttivi.

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