Quiet Quitting, un nuovo fenomeno che sta spopolando. Di cosa si tratta? - Jobiri

Dopo le Grandi Dimissioni, arriva il “Quiet Quitting”, termine nato sui social che letteralmente vuol dire “abbandono silenzioso” del lavoro. Si tratta di un fenomeno che, proprio come la Great Resignation, sta diventando virale e sta “colpendo” un numero sempre maggiore di lavoratori in tutto il mondo.

Data l’importanza e la popolarità del Quiet Quitting, ci occuperemo di approfondire il fenomeno, focalizzandosi sul suo significato e sulle cause che lo stanno provocando.

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Quiet Quitting: che cos’è

Come detto prima, l’espressione Quiet Quitting vuol dire “abbandono silenzioso” del lavoro. Che cosa significa questo?

Sostanzialmente, i quiet quitters, così come vengono chiamati i lavoratori che stanno mettendo in atto questo abbandono, sono coloro che si limitano a fare il minimo indispensabile sul posto di lavoro. Per minimo indispensabile si intende: niente più orari assurdi in ufficio, niente più straordinari, niente più risposte alle chiamate fuori dall’orario di ufficio, niente più attività che non rientrano in quelle di competenza e così via.

Si tratta di una pratica che, sempre più diffusa a livello globale, consiste quindi nel fare lo stretto necessario sul lavoro in modo da avere molto tempo disponibile da dedicare ad altro. A differenza della Great Resignation che consiste nel dare drasticamente le dimissioni, il Quiet Quitting è un fenomeno, appunto, più silenzioso e meno drastico, che porta chi lo mette in atto a “scaldare semplicemente la sedia” perchè non c’è niente altro di meglio da fare o da trovare.

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Le principali cause del Quiet Quitting

Bisogna innanzitutto sottolineare che il Quiet Quitting emerge in un contesto come quello odierno in cui si sta facendo sempre più strada la necessità di “lavorare per vivere” e non il contrario.

Questo vuol dire che se pre pandemia molti professionisti dedicavano la propria vita al lavoro, post pandemia questa pratica si è notevolmente ridotta, presentando altre tipologie di esigenze e bisogni, come flessibilità, importanza del tempo libero e della cura di se stessi, importanza delle relazioni sociali, etc.

E’ possibile, quindi, intercettare alcune principali cause del Quiet Quitting:

1) Il bisogno di una maggiore flessibilità

2) Un cattivo rapporto con il capo e/o i colleghi

3) Non sentirsi apprezzati abbastanza

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4) Una generale insoddisfazione nei confronti del proprio lavoro

1) Il bisogno di una maggiore flessibilità

Si sa che, soprattutto a partire dalla pandemia, il bisogno di una maggiore flessibilità è un’esigenza sempre più diffusa. La digitalizzazione e lo smart working hanno, infatti, permesso di acquisire nuove consapevolezze: (quasi) tutto ciò che si può fare in ufficio, si può fare anche da casa, o da qualunque altro luogo. La flessibilità che cercano molti riguarda, poi, anche gli orari di lavoro. “Meno rigidità e più importanza agli obiettivi da raggiungere” è il mantra che molti professionisti hanno fatto proprio. Tuttavia, soprattutto con la fine dello stato di emergenza, molte aziende hanno fatto un passo indietro, ritornando a quella “normalità” precedente che in molti adesso rigettano. Da qui potrebbe sicuramente derivare il Quiet Quitting: manca la flessibilità che il lavoratore desidera e il modo in cui reagisce è quello di limitarsi a fare quello che serve, niente di più.

2) Un cattivo rapporto con il capo e/o i colleghi

Altro motivo che fa nascere nuovi quiet quitters è il difficile rapporto con il proprio capo e/o con i colleghi. In questi casi, può succedere che una difficile comunicazione renda la giornata lavorativa pesante e che, in generale, ci siano difficoltà nello svolgimento pratico delle attività di routine. Succede spesso, quindi, che molti lavoratori che si trovano in una situazione del genere assumano un atteggiamento passivo, che, se da un lato porta a non alimentare altre incomprensioni, dall’altro non risolve questa situazione.

3) Non sentirsi apprezzati abbastanza

Altro motivo che spinge i lavoratori a non fare di più, a non essere stimolati nel fare sempre meglio è il non sentirsi apprezzati o gratificati per il proprio impegno. Anche questa è una delle cause del Quiet Quitting: se a lungo andare non ci si sente apprezzati e non si è spinti alla crescita, si finisce per fare quel minimo indispensabile che accontenta tutti e fa andare avanti. Ma.. a chi giova un atteggiamento del genere?

4) Una generale insoddisfazione nei confronti del proprio lavoro

Anche una generale insoddisfazione nei confronti del proprio lavoro può portare alla messa in pratica del Quiet Quitting. L’insoddisfazione può dipendere da vari fattori, tra cui rientrano quelli elencati prima e non solo: l’eccessivo carico di lavoro, l’incompatibilità tra la posizione ricoperta e le proprie aspirazioni, la mancanza di possibilità di crescita sono soltanto alcuni esempi che possono causare insoddisfazione in molti professionisti. Anche in questo caso, molti lavoratori che si trovano in situazioni del genere o simili, adottano atteggiamenti da quiet quitters, ossia smettono di lottare, provano ad ignorare il problema facendo del lavoro una “parentesi marginale” della propria vita.

Quiet quitting: una nuova pratica che spaventa le aziende?

In virtù di quanto spiegato sopra, il primo fattore su cui riflettere è sicuramente il comportamento delle aziende: sono consapevoli del fenomeno in atto? Danno attenzioni sufficienti ai propri dipendenti per far sì che essi si sentano sempre stimolati, soddisfatti e felici?

Evidentemente no, o almeno così sembra. Ciò che verrebbe da dire è, pertanto, che le aziende, dopo aver acquisito consapevolezza del fenomeno, dovrebbero provare a dare maggiore attenzione ai propri dipendenti, tenendo seriamente in considerazione le loro esigenze (flessibilità, maggiori stimoli, possibilità di crescita, etc.)

Altra riflessione immediatamente seguente che vogliamo condividere in merito al fenomeno è questa: stiamo assistendo ad un cambio di mentalità tale per cui il valore delle persone non è definito dal proprio lavoro o almeno non più soltanto da quello. Di fronte ad una consapevolezza del genere, qual è l’approccio migliore da adottare?

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