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Quante volte i candidati che si sono affidati a te ti hanno detto: “non trovo lavoro perché non ho fortuna” oppure “mancano le raccomandazioni giuste”? Probabilmente più volte di quanto vorresti ammettere. In qualità di orientatori, sappiamo che dietro queste affermazioni si nasconde spesso una visione distorta del processo di job hunting: quella di un evento occasionale, di un tentativo sporadico, di qualcosa che si fa “quando capita”. Ma se iniziassimo a presentare la ricerca di lavoro come un vero e proprio percorso di apprendimento continuo, simile all’acquisizione di una competenza linguistica o al mantenimento della forma fisica?
Questa prospettiva, che può sembrare semplice, rappresenta in realtà un cambio di paradigma fondamentale nel nostro lavoro di orientamento. E può fare la differenza tra candidati che restano bloccati per mesi e candidati che raggiungono i loro obiettivi professionali.
Le variabili che possiamo realmente controllare
Capita a molti orientatori ogni giorno di confrontarsi spesso con narrazioni vittimistiche: il mercato è difficile, la congiuntura economica è sfavorevole, la concorrenza è spietata. Tutto vero. Ma concentrarsi esclusivamente su questi fattori esterni significa privare i candidati del potere decisionale che effettivamente possiedono.
Esistono due leve fondamentali su cui ogni persona in cerca di lavoro può agire direttamente: il livello delle proprie competenze e il numero di opportunità attivamente contattate. Queste due dimensioni, apparentemente banali, racchiudono l’essenza di una strategia di job search efficace.
Più le competenze di un candidato sono distintive rispetto alla media del mercato di riferimento, maggiori sono le probabilità di emergere. Parallelamente, più alto è il numero di aziende o organizzazioni contattate in modo mirato e professionale, più si amplifica la probabilità statistica di intercettare un’opportunità concreta.
Il problema è che molti candidati, e talvolta anche gli orientatori, tendono a sottovalutare l’importanza della sistematicità. Si aggiorna il CV una volta, si risponde a qualche annuncio quando capita, si partecipa a un corso e poi si attende che qualcosa accada. Ma questa intermittenza è esattamente ciò che sabota il processo.
La metafora dell’apprendimento linguistico nella pratica orientativa
Proviamo a trasferire questa riflessione in un contesto che i candidati possono comprendere immediatamente: l’apprendimento di una lingua straniera. Immagina una persona che studia inglese intensamente per tre mesi, poi smette completamente per un anno, poi riprende per due mesi, poi abbandona di nuovo. Quali risultati può aspettarsi? Probabilmente di rimanere bloccata a un livello elementare, con continue frustrazioni dovute alla sensazione di “ricominciare sempre da capo”.
Questa dinamica è identica a quella della ricerca di lavoro. Un candidato che dedica una settimana intensa all’apprendimento di Excel e poi non lo tocca più per sei mesi non costruisce competenze spendibili. Un utente che invia quattro candidature al mese, senza una strategia precisa e senza continuità, non genera abbastanza opportunità per emergere in un mercato competitivo. La discontinuità azzera l’effetto accumulo, quel processo attraverso cui piccoli progressi quotidiani si trasformano in risultati tangibili nel medio-lungo periodo.
Gli orientatori hanno il compito di aiutare i candidati a comprendere che la ricerca di lavoro non è un’attività sporadica ma un impegno strutturato che richiede dedizione quotidiana. Anche solo trenta minuti al giorno, ma tutti i giorni, producono risultati significativamente superiori rispetto a sessioni intensive ma occasionali. Questo approccio richiede di costruire routine sostenibili: identificare ogni giorno nuove aziende da contattare, personalizzare ogni candidatura, dedicare tempo allo sviluppo di competenze specifiche, riflettere su cosa ha funzionato e cosa può essere migliorato.
L’analogia con l’allenamento fisico: costanza batte intensità
Un’altra metafora significativa da utilizzare con i candidati è quella dell’allenamento fisico. Se una persona vuole perdere peso, tonificare i muscoli o migliorare la resistenza cardiovascolare, sa perfettamente che andare in palestra una volta ogni tanto, o intensamente per una sola settimana, non produrrà alcun risultato duraturo. Serve regolarità, serve pazienza, serve la capacità di tollerare fasi in cui i progressi non sono immediatamente visibili.
La ricerca di lavoro segue esattamente la stessa logica. Non esistono scorciatoie miracolose, non esiste il “trucco segreto” che risolve tutto in pochi giorni. Esiste invece la disciplina di chi ogni giorno dedica tempo ed energia a costruire il proprio percorso professionale, un’azione alla volta. Questa prospettiva è particolarmente utile quando si lavora con candidati che hanno competenze nel segmento medio del mercato del lavoro: non sono profili altamente specializzati che vengono cercati attivamente dai recruiter, ma neanche profili privi di qualifiche.
Pensiamo a chi cerca posizioni come receptionist, addetto vendite, impiegato amministrativo senza specializzazioni verticali. In questi ambiti la concorrenza è significativa e, a parità di competenze, emerge chi si propone con maggiore costanza, qualità e strategia. È qui che il ruolo dell’orientatore diventa cruciale: non si tratta solo di insegnare come si scrive un CV efficace, ma di costruire una mentalità orientata alla perseveranza strategica, all’auto-disciplina, alla capacità di vedere la ricerca di lavoro come un vero e proprio progetto professionale con obiettivi, milestone e metriche di valutazione.
La formula delle due dimensioni: competenze per contatti
Nell’ambito dell’orientamento professionale, è possibile sintetizzare tutto questo in una formula operativa semplice ma significativa: le possibilità di trovare lavoro sono il prodotto tra il livello delle competenze possedute e il numero di opportunità attivamente contattate. Non una somma, ma una moltiplicazione. Questo significa che se una delle due variabili è zero o troppo bassa, l’altra da sola non può compensare.
Le competenze si costruiscono attraverso formazione continua, pratica deliberata, esperienze anche brevi ma significative, aggiornamento costante su trend e strumenti del settore di riferimento. Non serve necessariamente tornare all’università o fare master costosi: spesso bastano corsi online mirati, certificazioni specifiche, progetti personali che dimostrino capacità concrete. L’importante è la continuità e l’intenzionalità: ogni settimana dovrebbe esserci almeno un momento dedicato all’apprendimento o al consolidamento di una skill.
I contatti, dall’altra parte, si costruiscono attraverso un approccio proattivo e sistematico al networking e alla candidatura. Non significa solo rispondere agli annunci pubblicati, ma anche identificare aziende interessanti e proporre candidature spontanee ben argomentate, partecipare a eventi di settore, coltivare relazioni professionali su LinkedIn, mantenere vivi i contatti con ex colleghi e professori. Anche in questo caso, l’effetto accumulo è determinante: ogni contatto stabilito, ogni candidatura inviata, ogni conversazione professionale aggiunge un tassello a un mosaico che, nel tempo, genera opportunità concrete.
Dal sapere al fare: come tradurre questa prospettiva nella pratica orientativa
Il compito degli orientatori non è solo quello di trasmettere informazioni, ma quello di facilitare un vero cambio di mindset nei loro utenti. Questo significa aiutarli a passare da una visione della ricerca di lavoro come “evento” a una visione come “processo”. Concretamente, è possibile introdurre alcuni elementi nella propria pratica quotidiana.
Innanzitutto, costruire con ogni candidato un piano di azione settimanale realistico e sostenibile. Non serve pianificare otto ore al giorno di ricerca lavoro per chi ha altri impegni, ma è fondamentale definire slot temporali precisi e protetti: trenta minuti ogni mattina, un’ora tre volte a settimana, quello che è sostenibile per quella specifica persona. La chiave è la regolarità, non l’intensità estemporanea.
In secondo luogo, è utile introdurre meccanismi di tracking e accountability. Chiedere ai candidati di tenere un diario delle candidature inviate, delle competenze sviluppate, dei contatti stabiliti li aiuta a visualizzare i progressi e a mantenere la motivazione anche quando i risultati tardano ad arrivare. Vedere nero su bianco che in un mese sono state contattate venti aziende, completato un corso online e aggiornato il profilo LinkedIn dà un senso di avanzamento concreto che spesso sfugge nella percezione soggettiva.
In questo contesto, l’intelligenza artificiale sta ridefinendo profondamente il modo in cui gli orientatori supportano i candidati, ma anche le competenze che devono sviluppare come professionisti dell’orientamento.
Per approfondire come sta evolvendo il ruolo dell’orientatore nell’era dell’IA e perché gli approcci tradizionali non sono più sufficienti, leggi il nostro articolo: troverai spunti concreti su come integrare l’IA nella tua pratica quotidiana mantenendo il valore insostituibile della relazione umana.
Infine, è importante lavorare sulle aspettative temporali. Così come nessuno si aspetta di imparare il tedesco in un mese o di avere addominali scolpiti dopo due settimane di palestra, anche nella ricerca di lavoro serve pazienza strategica. I risultati arrivano, ma raramente nel brevissimo periodo. Aiutare i candidati a tollerare questa temporalità, mantenendo l’impegno costante, è forse uno dei contributi più preziosi che gli orientatori professionali possono offrire.
Oltre la fortuna: restituire il controllo ai candidati
La narrazione sulla fortuna e sulle raccomandazioni, con cui abbiamo aperto questo articolo, è tanto diffusa quanto paralizzante. Quando un candidato attribuisce tutto a fattori esterni incontrollabili, perde ogni potere decisionale sul proprio percorso professionale. Il compito degli orientatori è proprio quello di restituire questo potere, evidenziando con chiarezza quali sono gli spazi d’azione concreti.
Non è possibile cambiare il mercato del lavoro. Non si può modificare la congiuntura economica. Non si possono creare posti di lavoro dal nulla. Ma gli orientatori possono aiutare i candidati a prendere in mano le due leve che sono effettivamente sotto il loro controllo: le competenze che decidono di sviluppare e le opportunità che scelgono di contattare. E possono guidarli a farlo con costanza, con metodo, con la stessa disciplina che applicherebbe chi vuole davvero imparare una lingua o chi vuole davvero rimettersi in forma.
Questa prospettiva non nega le difficoltà oggettive del mercato del lavoro, ma offre una via d’uscita concreta dalla frustrazione e dall’immobilismo. E soprattutto, offre agli orientatori un framework chiaro e comunicabile per strutturare i propri interventi, misurare i progressi e sostenere la motivazione dei propri utenti nel lungo periodo.
Tuttavia, mentre si integrano sempre più strumenti basati sull’intelligenza artificiale nel lavoro di orientamento, è necessario sviluppare anche una consapevolezza critica sulle loro potenziali distorsioni. L’IA può amplificare pregiudizi esistenti o crearne di nuovi, influenzando le raccomandazioni che vengono offerte agli utenti. Per questo motivo, è fondamentale che ogni orientatore sappia come identificare e neutralizzare le distorsioni generate dall’IA: solo con questa consapevolezza è possibile garantire interventi davvero equi ed efficaci per tutti gli utenti, indipendentemente dal loro background.
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Job Coach e Copywriter con grande esperienza nel settore lavoro e digital, Federica ha un background umanistico combinato a competenze tecniche di career advisory, marketing e comunicazione. Esperta di carriera e nello sviluppo di contenuti per fare scelte professionali vincenti, Federica è in grado di trasformare concetti complessi in messaggi chiari e utili per vivere la propria professionalità in maniera più appagante.
