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C’è un’immagine (spesso anche sbagliata) che molti di noi conoscono bene: studenti che usano l’intelligenza artificiale con naturalezza, come se fosse un’estensione delle proprie mani, mentre docenti, orientatori, tutor universitari e operatori dei servizi al lavoro la osservano con un misto di curiosità e diffidenza.

Alcuni la temono, perché non la capiscono fino in fondo o perché avvertono la pressione, quasi un obbligo, di doverla utilizzare senza sentirsi davvero pronti. Altri hanno paura che possa sostituire la propria professionalità. E altri ancora ci provano, ma con l’impressione di usarla “nel modo sbagliato”.

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Il workshop di Jobiri a Didacta, ospitato dal Gruppo Spaggiari, ha affrontato proprio questo sentimento diffuso: l’incertezza che nasce davanti a una tecnologia nuova, potente, già usata dai giovani, ma spesso fraintesa dagli adulti.

Puoi vedere il video integrale qui o proseguire nella lettura sotto.

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Gli studenti l’IA la usano già. Ma da soli.

Un dato è emerso con forza: la stragrande maggioranza degli studenti utilizza già l’intelligenza artificiale a scuola.

Non per un progetto strutturato, non all’interno di percorsi educativi guidati, ma in modo spontaneo, spesso disordinato, quasi sempre in autonomia. Solo una piccola parte riceve una vera formazione istituzionale sul tema.

Il risultato è che gli studenti apprendono rapidamente, sì, ma imparano anche a usare male questi strumenti, affidandosi a risposte non controllate, informazioni generiche o persino errate.

Questo accade soprattutto perché strumenti come ChatGPT o Gemini, pur essendo straordinari, non sono progettati per l’orientamento.

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Possono generare contenuti interessanti, ma possono anche inventare informazioni, mostrare pregiudizi impliciti, creare narrazioni fuorvianti o produrre suggerimenti validi in altri Paesi ma non in Italia.

Inoltre, quando vengono usati con account consumer, pongono problemi seri in termini di riservatezza dei dati e rispetto del GDPR.

Eppure la domanda cresce: gli studenti hanno bisogno di orientarsi, di capire cosa studiare, che professione scegliere, come costruire un CV efficace o come rispondere a un annuncio di lavoro.

Lo chiedono all’IA perché è veloce, accessibile e sempre disponibile. Ma lo fanno da soli, senza che la scuola o gli orientatori possano intervenire per guidarli.

Il nodo centrale: l’IA va compresa

Il workshop ha invitato tutti a un cambio di prospettiva. Non serve essere né tecnofobi né tecnofili convinti: serve realismo.

Significa osservare l’IA per ciò che è, con i suoi punti di forza evidenti e i suoi limiti altrettanto significativi.

Significa provarla, sperimentarla, capire dove brilla e dove inciampa. Significa soprattutto non permettere che siano solo gli studenti a esplorarla, perché questo rischia di creare un divario sempre più grande tra chi sa utilizzare l’IA e chi ne rimane intimidito.

Allo stesso tempo, è chiaro che l’IA generica non può essere uno strumento di orientamento affidabile. Non conosce il contesto italiano. Non è specializzata sulle professioni del nostro mercato del lavoro. Non è pensata per guidare scelte delicate e decisive come il percorso universitario, la strada professionale o il primo ingresso nel mondo del lavoro.

E soprattutto, non è controllabile.

Jobiri: un’IA che restituisce potere all’orientatore

Qui entra in gioco la visione di Jobiri, che ha presentato un sistema di intelligenza artificiale completamente diverso: non generico, non dispersivo e soprattutto non pericoloso da un punto di vista di privacy e tutela dei dati.

Un’IA pensata esclusivamente per l’orientamento formativo e professionale, costruita sul contesto italiano e progettata perché la scuola, l’università, lo sportello lavoro l’orientatore e l’orientatrice rimangano al centro del processo.

Questa IA non risponde a tutto, non divaga, non permette allo studente di utilizzarla come una scorciatoia per questioni irrilevanti.

Le sue risposte sono mirate, costruite sul profilo dello studente, basate su informazioni affidabili e soprattutto collegate all’istituzione che la mette a disposizione.

In questo modo, la tecnologia non isola l’orientatore, ma anzi rafforza la relazione con lo studente, rendendola più costante, più efficace e più profonda.

Uno studente può chiedere aiuto per capire quale percorso universitario è adatto ai suoi interessi, alle sue inclinazioni e anche ai suoi limiti.

L’IA indaga con domande intelligenti: esplora ciò che appassiona, ciò che demotiva, ciò che lo studente desidera per la propria vita. Valuta preferenze geografiche, esigenze economiche, attitudine al lavoro con i numeri, desiderio di attività più pratiche o più teoriche. E, sulla base di queste informazioni, formula proposte coerenti, spiegandone le ragioni in modo trasparente.

Per ogni percorso suggerito, l’IA mostra anche gli sbocchi professionali, gli stipendi medi, il livello di equilibrio vita-lavoro, le competenze richieste e persino come l’arrivo dell’IA influenzerà quel settore nei prossimi anni.

Perché scegliere un percorso oggi senza capire come cambierà domani significa prendere una decisione già vecchia al momento in cui viene presa.

Un orientamento che connette

Il sistema permette poi allo studente di generare un documento da condividere con il docente, l’orientatore o la famiglia.

Non una risposta automatica, ma un punto di partenza per un confronto umano.
L’IA, in questo caso, non chiude il dialogo: lo apre.

La stessa logica si applica all’orientamento professionale. Quando uno studente deve rispondere a un annuncio di lavoro, l’IA non si limita a modificare il CV, ma valuta ciò che la persona può offrire, ciò che manca, ciò che deve essere valorizzato.

Il tutto senza mai sconfinare, senza mai uscire dal perimetro orientativo, senza rischiare di offrire contenuti o assistenza impropria.

La sicurezza: un confine che protegge tutti

La differenza più evidente rispetto alle IA generiche è la capacità di dire “no”.

Se uno studente chiede una ricetta di cucina o un argomento non attinente all’orientamento, il sistema non risponde. Lo riporta con fermezza e cortesia alla sua funzione.

Questo protegge lo studente, tutela l’istituzione e mantiene la tecnologia in uno spazio sicuro, controllato e conforme al GDPR.

La tecnologia rimpiazza chi si fa da parte

Il cuore del workshop è un invito: non lasciamo che siano solo gli studenti a esplorare l’IA. Non lasciamo che siano strumenti generalisti e privi di tutela a guidarli in scelte che condizioneranno il loro futuro.

L’IA non deve diventare un sostituto dell’orientatore, né una stampella per lo studente. Deve essere un ponte tra i due.

Quando l’IA è progettata con responsabilità, specializzazione e attenzione per il contesto, non ruba il ruolo umano: lo amplifica.

Restituisce tempo, offre dati, propone scenari, ma rimette la relazione, quella vera, al centro del processo.

E con strumenti come quelli presentati da Jobiri, la scuola, l’università, gli orientatori e le orientatrici non subiscono l’ondata tecnologica: la guidano.

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