
Indice dei contenuti
- Perché alcune aziende temono ancora lo smart working (e cosa rivela questo timore)
- Costruire il proprio “portfolio di produttività remota”
- La psicologia della negoziazione: trasformare la richiesta in proposta di valore
- Strategie operative: dal confronto con il manager al test pilota misurabile
- Gli errori fatali da evitare (e come gli orientatori possono prevenirli)
- Conclusione: dalla negoziazione alla trasformazione culturale
Quanti orientatori si sono trovati a supportare professionisti che, dopo aver sperimentato il lavoro da remoto durante la pandemia, ora lo considerano un diritto irrinunciabile ma non sanno come difenderlo? La richiesta di mantenere lo smart working è diventata uno dei nodi più critici nelle trattative professionali contemporanee, eppure molti lavoratori affrontano questa negoziazione senza la preparazione necessaria. Per gli orientatori comprendere le dinamiche di questa contrattazione significa acquisire strumenti essenziali per guidare i clienti verso una maggiore autonomia e soddisfazione lavorativa. La vera sfida non è chiedere flessibilità, ma dimostrarne il valore attraverso evidenze misurabili che trasformino una preferenza personale in un vantaggio strategico per l’organizzazione.
Perché alcune aziende temono ancora lo smart working (e cosa rivela questo timore)
La resistenza organizzativa al lavoro remoto nasconde spesso dinamiche che vanno ben oltre le questioni produttive dichiarate. Molte aziende mantengono una cultura basata sul controllo visivo e sulla presenza fisica, interpretando la distanza come perdita di supervisione piuttosto che come opportunità di evoluzione manageriale. Secondo recenti analisi del mercato del lavoro italiano, oltre il 60% delle imprese che hanno ridotto o eliminato lo smart working post-pandemia cita “difficoltà di coordinamento” e “perdita di coesione del team” come motivazioni principali, mentre solo il 23% menziona reali cali di produttività misurati.
Questo divario tra percezione e dati reali rappresenta un’opportunità straordinaria per chi sa costruire argomentazioni basate su evidenze concrete. Gli orientatori devono aiutare i professionisti a riconoscere che la negoziazione dello smart working non è una battaglia tra libertà personale e esigenze aziendali, ma un’occasione per ridefinire il concetto stesso di performance. Le organizzazioni più evolute hanno già compreso che la produttività non si misura in ore di presenza ma in risultati raggiunti, qualità delle consegne e capacità di innovazione. Il lavoro dell’orientatore consiste nel preparare i candidati a dimostrare questa equivalenza attraverso un linguaggio che le aziende comprendono: numeri, metriche e impatto misurabile.
Costruire il proprio “portfolio di produttività remota”
Prima di avviare qualsiasi negoziazione, il professionista deve disporre di un dossier documentato che trasformi le percezioni soggettive in evidenze oggettive. Gli orientatori possono guidare i propri assistiti nella creazione di quello che potremmo definire un “portfolio di produttività remota”: un insieme strutturato di dati che dimostri non solo il mantenimento, ma l’incremento delle performance durante i periodi di lavoro da remoto.
Quali metriche dovrebbero essere tracciate? La risposta varia in base al ruolo, ma esistono indicatori universali che ogni professionista può monitorare:
- Tempo di completamento dei progetti: confrontare le tempistiche di consegna tra modalità in presenza e remota, evidenziando eventuali accelerazioni o miglioramenti nell’efficienza
- Qualità delle consegne: raccogliere feedback formali e informali da colleghi, supervisori o clienti relativi ai periodi di smart working
- Disponibilità e reattività: dimostrare attraverso log di comunicazione che il lavoro remoto non ha comportato ritardi nelle risposte o nella gestione delle urgenze
- Partecipazione attiva: documentare il contributo a meeting virtuali, progetti collaborativi e iniziative trasversali, dimostrando che la distanza non ha ridotto il coinvolgimento
- Iniziative proattive: evidenziare proposte, innovazioni o miglioramenti introdotti proprio durante i periodi di lavoro da remoto
Come approfondito in articoli dedicati alla comprensione strategica dell’orientamento in continua evoluzione, la capacità di documentare e quantificare il proprio valore professionale rappresenta una competenza trasversale fondamentale che gli orientatori devono trasmettere ai propri assistiti. Non si tratta di auto-celebrazione, ma di costruzione di una narrativa professionale basata su fatti verificabili.

La psicologia della negoziazione: trasformare la richiesta in proposta di valore
Molti professionisti commettono l’errore di presentare la richiesta di smart working come una concessione che l’azienda dovrebbe accordare per generosità o sensibilità sociale. Questa impostazione parte già svantaggiata perché posiziona il lavoratore come richiedente di un favore piuttosto che come propositore di una soluzione vantaggiosa per entrambe le parti. Gli orientatori esperti sanno che la negoziazione efficace si fonda su un principio fondamentale: dimostrare che ciò che si chiede genera valore anche per la controparte.
La struttura argomentativa ideale dovrebbe articolarsi su tre livelli progressivi. Il primo livello presenta i dati di produttività personale, dimostrando che il lavoro remoto non solo mantiene ma migliora le performance individuali. Il secondo livello sposta l’attenzione sui benefici organizzativi: riduzione dei costi di spazio fisico, possibilità di attrarre talenti da aree geografiche diverse, maggiore flessibilità nella gestione di picchi lavorativi. Il terzo livello, spesso trascurato ma potentissimo, introduce elementi di sostenibilità e responsabilità sociale: riduzione dell’impatto ambientale legato agli spostamenti, miglioramento del benessere organizzativo, allineamento con le best practice internazionali.
Questa progressione trasforma la conversazione da “io ho bisogno di lavorare da casa” a “ecco come possiamo insieme creare un modello più efficiente, sostenibile e attrattivo per l’organizzazione”. Il cambio di prospettiva è radicale e richiede preparazione accurata. Gli orientatori devono allenare i propri assistiti a pensare come consulenti strategici piuttosto che come dipendenti richiedenti, anticipando obiezioni e costruendo risposte basate su evidenze.

Strategie operative: dal confronto con il manager al test pilota misurabile
La preparazione del terreno negoziale richiede un approccio graduale e strategico che molti professionisti non considerano. Prima di formalizzare una richiesta ufficiale, è fondamentale comprendere il contesto organizzativo specifico, identificare alleati interni e testare la disponibilità al cambiamento. Gli orientatori possono guidare questo processo attraverso una sequenza di azioni mirate che costruiscono progressivamente credibilità e consenso.
Una strategia particolarmente efficace consiste nel proporre un test pilota con metriche concordate preventivamente. Invece di chiedere un cambiamento permanente, il professionista propone un periodo di prova (tipicamente tre-sei mesi) durante il quale lavorerà in modalità ibrida o completamente remota, impegnandosi a misurare e condividere regolarmente indicatori di performance specifici. Questo approccio riduce drasticamente la percezione di rischio da parte dell’azienda e crea le condizioni per una valutazione oggettiva.
Come evidenziato nell’analisi sul ruolo dell’orientatore in continua evoluzione, la capacità di strutturare esperimenti professionali controllati rappresenta una competenza distintiva che differenzia l’orientamento strategico da quello meramente informativo. Il professionista che propone un test misurabile dimostra maturità professionale, orientamento ai risultati e disponibilità ad assumersi responsabilità.
Durante il periodo pilota, è cruciale:
- Stabilire check-in regolari con il manager per condividere progressi e affrontare eventuali criticità emergenti
- Documentare sistematicamente i risultati attraverso dashboard o report sintetici che rendano visibile l’andamento delle performance
- Mantenere e possibilmente intensificare la comunicazione proattiva con colleghi e stakeholder, dimostrando che la distanza non crea isolamento
- Raccogliere feedback strutturati da persone che collaborano con il professionista, creando una validazione multipla dell’efficacia del lavoro remoto
Questa metodologia trasforma una richiesta soggettiva in un esperimento professionale che genera dati utilizzabili per decisioni future, non solo per il singolo professionista ma potenzialmente per l’intera organizzazione.

Gli errori fatali da evitare (e come gli orientatori possono prevenirli)
Anche la negoziazione meglio preparata può fallire se si commettono errori strategici che minano la credibilità del richiedente. Gli orientatori esperti riconoscono questi pattern e preparano i propri assistiti ad evitarli sistematicamente. Il primo errore, sorprendentemente comune, consiste nel presentare la richiesta di smart working come motivata esclusivamente da esigenze personali o familiari, senza collegarla a benefici professionali o organizzativi. Questa impostazione, per quanto umanamente comprensibile, posiziona immediatamente la discussione su un piano emotivo piuttosto che strategico.
Il secondo errore riguarda il timing della richiesta: molti professionisti scelgono momenti di tensione organizzativa, chiusura di bilanci o ristrutturazioni per avanzare proposte di cambiamento nelle modalità lavorative. Questo approccio ignora completamente il contesto decisionale e riduce drasticamente le probabilità di successo. Gli orientatori devono insegnare a leggere i cicli organizzativi e identificare finestre di opportunità, tipicamente dopo il raggiungimento di obiettivi importanti o durante fasi di pianificazione strategica.
Un terzo errore, particolarmente insidioso, consiste nel presentare uno scenario binario (tutto o niente) invece di proporre soluzioni graduate. Chiedere immediatamente il lavoro completamente remoto senza considerare opzioni ibride, giornate specifiche in presenza per attività collaborative, o flessibilità adattabile alle esigenze progettuali, comunica rigidità e scarsa disponibilità alla collaborazione. Le negoziazioni più efficaci partono da proposte modulari che consentono aggiustamenti progressivi basati sui risultati osservati.
Infine, molti professionisti sottovalutano l’importanza di costruire alleanze interne prima di formalizzare la richiesta. Identificare colleghi che già lavorano in modalità remota, comprendere quali manager sono più aperti alla flessibilità, raccogliere esempi di successo all’interno dell’organizzazione: queste azioni preparatorie creano un contesto favorevole e riducono la percezione che la richiesta sia eccentrica o isolata. L’orientatore strategico aiuta a mappare queste dinamiche e a costruire una rete di supporto implicito prima di avviare la conversazione formale.
Conclusione: dalla negoziazione alla trasformazione culturale
La capacità di negoziare efficacemente lo smart working rappresenta molto più di una competenza specifica: è un indicatore di maturità professionale, pensiero strategico e orientamento ai risultati che gli orientatori devono coltivare sistematicamente nei professionisti che seguono. Quando un assistito apprende a costruire argomentazioni basate su dati, a strutturare proposte di valore reciproco e a gestire conversazioni difficili con equilibrio tra assertività e collaborazione, sta acquisendo strumenti che trascendono la singola negoziazione e diventano asset permanenti del proprio repertorio professionale.
Le organizzazioni più evolute hanno già compreso che la flessibilità lavorativa non è una concessione ma un elemento strutturale della competitività contemporanea. Gli orientatori che preparano i candidati a questa consapevolezza non stanno solo facilitando richieste individuali, ma contribuendo a un cambiamento culturale più ampio che ridefinisce il rapporto tra persone e organizzazioni. La vera libertà professionale non si chiede: si dimostra, si costruisce con evidenze concrete e si negozia con la consapevolezza che il valore personale si misura in impatto, non in presenza fisica.
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CEO e co-fondatore di Jobiri, impresa innovativa che utilizza l’AI per facilitare l’inserimento lavorativo. Con oltre 15 anni di esperienza in management e leadership, Claudio è un esperto nella gestione aziendale e nelle tematiche di sviluppo organizzativo. La sua visione strategica e il suo impegno sociale fanno di lui un punto di riferimento nel settore.

