life design counseling

Introduzione

Quando un utente entra nello studio di un orientatore e dichiara “non so cosa fare della mia vita”, quale domanda è più utile porgli: “quali sono le tue competenze?” oppure “chi erano i tuoi eroi quando avevi cinque anni?” Per decenni, la prima domanda ha dominato la pratica dell’orientamento. Poi è arrivato Mark Savickas con il Life Design Counseling e ha proposto la seconda. E improvvisamente, migliaia di orientatori in tutto il mondo hanno iniziato a chiedere ai propri clienti di raccontare memorie infantili, personaggi ammirati e storie preferite.

Ma funziona davvero? E soprattutto: quando funziona, perché funziona? Il Life Design Counseling rappresenta una delle evoluzioni più affascinanti – e controverse – dell’orientamento contemporaneo. Una metodologia che promette di trasformare frammenti biografici apparentemente irrilevanti in insight professionali trasformativi. Una tecnica che alcuni orientatori considerano rivoluzionaria e altri liquidano come pseudoscienza narrativa.

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Questo articolo esplora il Life Design Counseling analizzando come funziona, quando è efficace, quali sono i suoi limiti reali e come gli orientatori possono integrarlo nella propria pratica senza perdere rigore professionale.

Le fondamenta teoriche del Life Design Counseling: tra psicologia narrativa e salto di fede

Il Life Design Counseling sviluppato da Mark Savickas si fonda su un’intuizione potente: l’identità professionale non è semplicemente la somma di competenze, esperienze e interessi misurabili, ma una narrazione che la persona costruisce e ricostruisce continuamente per dare senso al proprio percorso. In questa prospettiva, comprendere come qualcuno racconta la propria vita diventa più significativo che catalogare cosa sa fare.

La psicologia narrativa, cuore teorico del Life Design Counseling, postula che l’immagine che ogni persona ha di sé – il self – si manifesta attraverso le storie che racconta sulle proprie esperienze. Due persone possono vivere lo stesso evento e attribuirgli significati completamente opposti: un licenziamento può essere narrato come liberazione o come conferma di inadeguatezza. E queste narrazioni non sono neutre: determinano emozioni, comportamenti, scelte future.

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Ma qui inizia la parte controversa. Savickas sostiene che chiedere a un utente quali personaggi ammirava tra i 3 e i 6 anni riveli l’immagine che ha di sé nel presente. Che le memorie più antiche offrano una prospettiva per analizzare le preoccupazioni professionali attuali. Che la storia preferita contenga “istruzioni” su come muoversi nella transizione di carriera. Queste connessioni – tra eroi infantili e identità professionale, tra ricordi arcaici e problemi contemporanei – sono il cuore del metodo. E sono anche il suo punto più debole.

Perché queste connessioni funzionerebbero? Savickas non lo argomenta sistematicamente. Cita alcuni studi datati (Buhler 1935, Mosak 1958) ma nessuno di questi è focalizzato specificamente sull’orientamento professionale. Non esistono ricerche validate che dimostrino che gli eroi dell’infanzia predicano le scelte di carriera o che le memorie arcaiche rivelano preoccupazioni professionali attuali. Sono, in sostanza, ipotesi affascinanti ma empiricamente fragili.

Eppure, migliaia di orientatori utilizzano questa metodologia e molti riportano risultati positivi. Come è possibile che un approccio con fondamenta teoriche così deboli produca benefici reali? La risposta a questa domanda svela qualcosa di importante non solo sul Life Design Counseling, ma sull’orientamento in generale.

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La struttura del Life Design Counseling: un protocollo in due sessioni che trasforma frammenti in progetto

Il Life Design Counseling si sviluppa tipicamente in due incontri strutturati secondo uno schema preciso. Nel primo incontro, l’orientatore pone una serie di domande apparentemente eclettiche che spaziano dall’infanzia al presente, dalla cultura popolare ai valori personali.

Le domande chiave del primo incontro:

  • La domanda generativa: “Come posso esserti utile?” seguita da “C’è altro?” – un’apertura che permette all’utente di definire il problema nei propri termini
  • Gli eroi dell’infanzia: tre personaggi ammirati tra i 3 e i 6 anni (reali o immaginari), con analisi delle loro caratteristiche comuni e differenze
  • I consumi culturali: riviste lette regolarmente, programmi TV seguiti, siti web visitati – per identificare aree di interesse ricorrenti
  • La storia preferita: il racconto prediletto al momento, tratto da libri, film o serie TV
  • Il motto personale: una frase guida che il cliente considera significativa per sé
  • Le memorie più antiche: tre episodi ricordati dall’età tra 3 e 6 anni, con particolare attenzione alle emozioni associate e ai “momenti più vividi”

Ogni domanda, secondo Savickas, intercetta una dimensione specifica: gli eroi rivelano l’immagine di sé, i consumi culturali indicano interessi professionali, la storia preferita contiene modelli di azione, il motto esprime valori guida, le memorie antiche offrono la lente attraverso cui il cliente vede il problema attuale.

Nel secondo incontro accade la magia – o la manipolazione, a seconda delle prospettive. L’orientatore guida il cliente nell’assemblare le risposte del primo incontro attraverso frasi stimolo da completare, costruendo progressivamente quello che Savickas chiama “Life Portrait”: un ritratto narrativo che connette biografia, caratteristiche personali e aspirazioni professionali. Questo ritratto viene poi riletto al cliente, discusso, affinato e infine tradotto in un piano d’azione concreto.

La sequenza del secondo incontro:

  • Connettere le preoccupazioni attuali alle memorie antiche
  • Identificare i tratti di personalità derivati dagli eroi dell’infanzia
  • Riconoscere come questi tratti sono stati utilizzati per risolvere problemi nel percorso di vita
  • Tradurre tutto questo in interessi professionali concreti
  • Formulare un “miglior consiglio a sé stessi”
  • Creare un piano d’azione basato sugli insight emersi

Il risultato finale è un documento narrativo che dovrebbe fornire al cliente sia chiarezza identitaria sia direzione operativa. Ma funziona davvero così linearmente?

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Quando il Life Design Counseling funziona

Molti orientatori che utilizzano il Life Design Counseling riportano feedback positivi dai clienti: maggiore chiarezza su di sé, motivazione aumentata, direzioni professionali che “risuonano” autenticamente. Ma se le connessioni teoriche proposte da Savickas sono così deboli, come si spiegano questi risultati?

Esistono almeno cinque meccanismi alternativi – più plausibili delle teorie di Savickas – che potrebbero spiegare l’efficacia del metodo.

Meccanismo 1: l’effetto metafora. Le domande su eroi infantili e memorie arcaiche non rivelano verità nascoste: funzionano come metafore, cioè come stimoli indiretti che permettono al cliente di parlare di sé evitando le difese che attiverebbe una domanda diretta. Chiedere “chi erano i tuoi eroi?” è psicologicamente meno minaccioso di “come ti vedi?” e può quindi generare risposte più autentiche. Ma attenzione: questo significa che il contenuto specifico (Superman vs. Cenerentola) è meno importante del processo riflessivo che la domanda innesca.

Meccanismo 2: la suggestione collaborativa. Durante il secondo incontro, quando l’orientatore propone connessioni tra memorie infantili e situazione professionale attuale, il cliente è motivato a trovare senso in queste connessioni anche se inizialmente appaiono forzate. Questa non è necessariamente manipolazione: è un processo co-costruttivo dove cliente e orientatore insieme creano una narrazione che risulta significativa. Il punto critico: questa narrazione è utile perché motiva il cliente, non perché corrisponde a una verità psicologica oggettiva.

Meccanismo 3: l’effetto ascolto profondo. Il Life Design Counseling dedica molto tempo all’esplorazione biografica, trasmettendo al cliente il messaggio “la tua storia è importante e merita attenzione”. Questo messaggio ha valore terapeutico indipendentemente dalla validità delle connessioni proposte. Come evidenziato nell’articolo su cosa fa l’orientatore, la relazione e la qualità dell’ascolto spesso contano più della tecnica specifica utilizzata.

Meccanismo 4: la concretizzazione dell’astratto. Molti clienti arrivano all’orientamento con aspirazioni vaghe (“voglio un lavoro che abbia senso”). Il processo del Life Design Counseling, attraverso domande molto concrete (eroi, storie, motto), costringe a specificare. E spesso è questa specificazione – non le connessioni teoriche di Savickas – a generare chiarezza.

Meccanismo 5: gli ingredienti universali del buon orientamento. Il Life Design Counseling include tutti gli elementi che rendono efficace qualsiasi intervento di orientamento: ascolto attento, esplorazione guidata delle caratteristiche personali, definizione di obiettivi, pianificazione di azioni concrete, empowerment del cliente. Questi ingredienti funzionano indipendentemente dalla cornice teorica narrativa.

Quindi il Life Design Counseling funziona, ma probabilmente non per le ragioni che Savickas propone. Funziona perché è un buon counseling mascherato da teoria narrativa sofisticata. E questo solleva una domanda cruciale per gli orientatori: vale la pena utilizzarlo?

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I limiti operativi del Life Design Counseling: cosa manca e quando fallisce

Nonostante i potenziali benefici, il Life Design Counseling presenta limiti significativi che ogni orientatore dovrebbe conoscere prima di adottarlo come metodologia principale.

Limite 1: l’assenza di valutazione dell’occupabilità. Savickas dichiara esplicitamente di non essere interessato a ricostruire il percorso formativo e professionale del cliente. Ritiene che eventuali informazioni rilevanti emergeranno spontaneamente durante il colloquio. Questo è problematico: senza una mappatura sistematica di competenze, esperienze e qualificazioni, l’orientatore non può valutare la fattibilità degli obiettivi professionali emersi. Il rischio? Generare insight identitari profondi ma disconnessi dalla realtà del mercato del lavoro.

Limite 2: inadatto per ricerca attiva di lavoro. Lo stesso Savickas ammette che il Life Design Counseling non è appropriato per consulenza su job search. Se un cliente ha bisogno di trovare lavoro rapidamente, esplorare i suoi eroi dell’infanzia è un lusso che non può permettersi. La metodologia funziona meglio per persone in transizione professionale con margine temporale per esplorazioni identitarie, non per disoccupati che necessitano strategie immediate.

Limite 3: dipendenza critica dalle capacità interpretative dell’orientatore. Il manuale di Savickas contiene molti termini specialistici della psicologia narrativa spesso non spiegati: career construction, meaning-making dialogue, deconstruction, agency. Senza una formazione solida in questi concetti, l’orientatore rischia di applicare meccanicamente il protocollo senza comprenderne le dinamiche profonde. E paradossalmente, un orientatore molto esperto potrebbe ottenere buoni risultati utilizzando il Life Design Counseling semplicemente perché è bravo a fare orientamento, non perché il metodo è intrinsecamente efficace.

Limite 4: rischio di sovra-interpretazione. Attribuire significati profondi a scelte infantili o memorie arcaiche può portare a interpretazioni forzate che dicono più sull’orientatore che sul cliente. Una bambina che ammirava Wonder Woman potrebbe averlo fatto per mille ragioni diverse, non tutte collegabili a caratteristiche identitarie profonde. L’orientatore che vede in questo “la ricerca di empowerment femminile” sta forse proiettando le proprie categorie interpretative.

Limite 5: mancanza di validazione empirica. Come lo stesso Savickas riconosce, la tecnica descritta nel suo manuale non è stata validata da ricerche specifiche. Mancano quindi dati affidabili sulla sua efficacia comparata ad altri approcci. Come discusso nell’articolo su che cos’è l’orientamento, la disciplina si sta muovendo verso una maggiore pratica basata sull’evidenza. Il Life Design Counseling, per quanto affascinante, rimane un approccio poco validato empiricamente.

Strategie per mitigare questi limiti:

  • Integrare sempre una fase di assessment occupazionale: prima o dopo il Life Design Counseling, dedicare tempo a mappare competenze, esperienze e opportunità concrete di mercato
  • Utilizzare il metodo selettivamente: riservarlo a clienti che hanno tempo e risorse per esplorazioni identitarie approfondite, non a chi è in emergenza occupazionale
  • Mantenere umiltà interpretativa: trattare le connessioni narrative come ipotesi da esplorare con il cliente, non come verità psicologiche rivelate
  • Combinare con approcci complementari: il Life Design Counseling può essere una fase di un percorso più ampio che include anche elementi più strutturati e pratici

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Come integrare elementi del Life Design Counseling senza abbracciare l’intero paradigma

La vera competenza professionale non consiste nell’applicare in maniera ortodossa un metodo, ma nel selezionare e adattare strumenti diversi in funzione dei bisogni specifici di ogni cliente. Alcuni elementi del Life Design Counseling possono essere integrati efficacemente nella pratica di orientamento senza necessariamente accettare l’intero impianto teorico di Savickas.

Elemento integrabile 1: le domande generative aperte. L’inizio del colloquio con “Come posso esserti utile?” seguito da “C’è altro?” è una pratica eccellente indipendentemente dall’approccio teorico. Permette al cliente di definire il problema nei propri termini, crea alleanza e rivela priorità che domande più strutturate potrebbero nascondere.

Elemento integrabile 2: l’esplorazione dei consumi culturali. Chiedere quali riviste, programmi TV, podcast, siti web il cliente segue regolarmente può far emergere pattern di interesse più autentici di test attitudinali standardizzati. Le persone votano con la propria attenzione: cosa scelgono di consumare culturalmente quando non sono obbligate dice qualcosa sulle loro inclinazioni genuine.

Elemento integrabile 3: il Life Portrait come strumento di sintesi. L’idea di co-costruire con il cliente un documento narrativo che integra caratteristiche personali, valori e aspirazioni professionali è preziosa. Anche senza le connessioni teoriche di Savickas, questo esercizio di sintesi aiuta il cliente a vedere coerenza e direzione nel proprio percorso.

Elemento integrabile 4: l’invito alla condivisione del Life Portrait. Savickas suggerisce che il cliente racconti il proprio Life Portrait a persone significative. Questo è uno strumento di accountability potente: verbalizzare pubblicamente un’intenzione professionale aumenta il grado di commitment e apre a feedback e supporto sociale.

Cosa invece evitare:

  • Interpretazioni forzate di eroi infantili o memorie arcaiche se il cliente non vi riconosce spontaneamente senso
  • Pretendere che la storia preferita contenga “istruzioni” su come muoversi professionalmente
  • Utilizzare il Life Design Counseling come sostituto completo della valutazione occupazionale tradizionale
  • Applicare il protocollo meccanicamente senza adattarlo alle caratteristiche e urgenze specifiche del cliente

L’approccio pragmatico consiste nel trattare il Life Design Counseling come una cassetta degli attrezzi, non come una religione. Alcuni strumenti sono eccellenti, altri sono discutibili. L’orientatore esperto seleziona i primi e ignora i secondi.

Conclusione

Il Life Design Counseling rappresenta un contributo significativo all’evoluzione dell’orientamento professionale: ha spostato l’attenzione da matching meccanico tra persona e professione verso comprensione narrativa del percorso di vita. Ha legittimato l’uso di domande creative e apparentemente “non professionali” per accedere a dimensioni identitarie profonde. Ha ricordato agli orientatori che le storie che le persone raccontano su sé stesse contano quanto – forse più – dei dati oggettivi sul loro CV.

Ma l’entusiasmo per l’approccio narrativo non dovrebbe trasformarsi in accettazione acritica di connessioni teoriche deboli. L’orientatore professionale sa distinguere tra strumenti utili e teorie fragili. Sa utilizzare il potere delle narrazioni senza cadere nella trappola dell’interpretazione arbitraria. Sa che un buon orientamento integra sempre dimensioni narrative e dimensioni concrete: chi sono, cosa voglio diventare, come posso effettivamente arrivarci.

Il futuro dell’orientamento non è scegliere tra approccio narrativo e approccio pragmatico: è integrarli intelligentemente. Il Life Design Counseling offre spunti preziosi, ma funziona meglio quando combinato con valutazione rigorosa dell’occupabilità, analisi realistica del mercato del lavoro e strategie concrete di job search o riqualificazione professionale.

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