congedo mestruale

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La rivoluzione silenziosa nel mondo del lavoro

Negli ultimi anni si sta assistendo a una trasformazione culturale fondamentale nel modo di concepire il benessere sul luogo di lavoro. Al centro di questa evoluzione si colloca il congedo mestruale, una misura che rappresenta molto più di un semplice permesso lavorativo: è il riconoscimento che i corpi sono diversi e hanno esigenze diverse.

All’inizio del millennio, parlare di ciclo mestruale in ufficio era praticamente un tabù. Le donne nascondevano tamponi e assorbenti nelle maniche o in piccole borse per non farsi notare durante le “missioni” in bagno. E i dolori? Quelli andavano sopportati in silenzio, magari con un antidolorifico discretamente ingoiato alla macchinetta del caffè. Oggi, per fortuna, qualcosa sta cambiando.

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Cos’è realmente il congedo mestruale e perché se ne parla

Ma facciamo un passo indietro: di cosa si parla esattamente? Il congedo mestruale è un periodo di assenza retribuita dal lavoro, concesso alle donne che soffrono di dolori mestruali particolarmente intensi – tecnicamente chiamati dismenorrea. Non si tratta di un “privilegio” o di una “vacanza mensile”, come qualche commentatore superficiale ha insinuato, ma di una misura di tutela sanitaria.

Va chiarito subito: non tutte le donne ne hanno bisogno. La dismenorrea grave colpisce circa il 10-20% della popolazione femminile, con sintomi che possono includere:

  • Dolori addominali acuti e crampi
  • Mal di schiena intenso
  • Nausea e vomito
  • Vertigini e, nei casi più severi, svenimenti
  • Diarrea o disturbi intestinali

Questi sintomi non sono “capricci” o “esagerazioni” – sono condizioni mediche reali che possono risultare temporaneamente invalidanti. Per chi soffre di dismenorrea severa, lavorare durante i giorni più critici del ciclo può essere non solo difficile, ma anche controproducente in termini di produttività e sicurezza.

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Congedo mestruale: storia e origini

Il congedo mestruale non è un’invenzione recente. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la sua storia ha radici profonde che risalgono addirittura al secolo scorso.

Il Giappone fu il primo paese a introdurre una forma di congedo mestruale, con una legge risalente al 1947 – un dato che sorprende molti, considerando che parliamo del periodo immediatamente successivo alla Seconda Guerra Mondiale. La legge giapponese sul lavoro stabiliva che “quando una donna per la quale lavorare durante le mestruazioni è particolarmente difficile richiede congedo, il datore di lavoro non può farla lavorare in quei giorni”. Questa formulazione, per quanto rudimentale, rappresentò un primo riconoscimento istituzionale delle specificità del corpo femminile.

Nei decenni successivi, altri paesi asiatici hanno seguito l’esempio: Corea del Sud (1953), Taiwan (2013), Indonesia, e più recentemente alcune province della Cina. In Africa, lo Zambia ha introdotto il cosiddetto “Mother’s Day”, un giorno di riposo mensile per le donne, senza necessità di presentare certificati medici.

Situazione attuale: il congedo mestruale in Italia

La situazione del congedo mestruale in Italia è ancora in fase embrionale. Ad oggi, non esiste una legge nazionale che regolamenti questa pratica, nonostante il dibattito pubblico si sia intensificato negli ultimi anni.

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Una delle proposte legislative più recenti risale al 2023, quando è stato presentato un disegno di legge che prevedeva fino a tre giorni di congedo mensile per le donne affette da dismenorrea certificata, con retribuzione al 100%. Tuttavia, questa proposta, come altre precedenti, si è arenata nel percorso parlamentare senza arrivare a una definitiva approvazione.

È interessante notare che, in assenza di una legislazione nazionale, alcune aziende italiane hanno deciso di muoversi autonomamente. Realtà come Intesa Sanpaolo, Angelini Pharma e altre hanno introdotto politiche interne che riconoscono il congedo mestruale. Queste iniziative private dimostrano una crescente sensibilità verso il tema, ma evidenziano anche il vuoto normativo che caratterizza attualmente il congedo mestruale in Italia.

Panoramica internazionale: come funziona negli altri Paesi

Il congedo mestruale presenta modalità di applicazione molto diverse a seconda dei paesi che l’hanno adottato:

  • Spagna: primo paese europeo ad aver approvato una legge sul congedo mestruale (2023). La normativa spagnola prevede permessi retribuiti per le donne che soffrono di dismenorrea invalidante certificata da un medico. Lo stato si fa carico di coprire il 100% dello stipendio durante l’assenza
  • Giappone: Come menzionato, il pioniere in questo ambito. La legge giapponese non specifica quanti giorni di congedo possano essere presi, ma lascia la decisione alla lavoratrice stessa. Tuttavia, questi giorni non sono sempre retribuiti
  • Corea del Sud: le lavoratrici hanno diritto a un giorno di congedo mestruale al mese, ma spesso non retribuito. Molte donne scelgono di non usufruirne per timore di ripercussioni
  • Taiwan: dal 2013, le donne possono richiedere fino a tre giorni di congedo mestruale all’anno, retribuiti al 50% del salario normale
  • Indonesia: la legge prevede due giorni di congedo all’inizio del ciclo mestruale, anche se l’implementazione effettiva varia notevolmente.

Questa varietà di approcci riflette le diverse culture e sistemi di welfare, ma anche l’evoluzione della percezione sociale della salute femminile nel contesto lavorativo.

Vantaggi per lavoratrici e aziende: una prospettiva win-win

Contrariamente a quanto si potrebbe superficialmente pensare, il congedo mestruale offre vantaggi significativi non solo per le lavoratrici, ma anche per le aziende. Si tratta di una prospettiva win-win spesso trascurata nel dibattito pubblico. Per le lavoratrici, i benefici sono evidenti:

  • Maggiore benessere fisico e psicologico
  • Riduzione dello stress legato alla gestione dei sintomi dolorosi in ambiente lavorativo
  • Possibilità di recuperare in modo adeguato nei giorni più critici
  • Riconoscimento istituzionale di una condizione medica reale
  • Minore necessità di ricorrere a permessi per malattia generici o ad assenze non dichiarate

Ma anche le aziende possono trarre vantaggi concreti:

  • Aumento della produttività complessiva (lavoratrici più sane = maggiore efficienza)
  • Riduzione dell’assenteismo “mascherato” o non pianificato
  • Miglioramento del clima aziendale e della fedeltà dei dipendenti
  • Potenziamento dell’immagine dell’azienda come datore di lavoro attento al benessere
  • Attrazione di talenti, specialmente in un mercato del lavoro sempre più attento alle politiche di welfare

Le ricerche dimostrano che politiche di welfare mirate non sono un costo ma un investimento. Un’analisi condotta su aziende che hanno implementato il congedo mestruale ha evidenziato come, dopo un periodo di adattamento iniziale, si registrino miglioramenti nella pianificazione del lavoro e nella produttività generale.

Impatto economico del congedo mestruale sulle aziende e sull’economia

L’introduzione del congedo mestruale solleva legittime domande sull’impatto economico per le aziende e il sistema produttivo. Contrariamente a quanto si potrebbe temere, diversi studi economici suggeriscono che l’impatto negativo potrebbe essere minimo o addirittura convertirsi in un beneficio netto.

Un’analisi condotta in Giappone, dove il congedo mestruale esiste da decenni, ha evidenziato che le giornate effettivamente utilizzate sono significativamente inferiori a quelle teoricamente disponibili. Solo una percentuale ridotta delle donne che potrebbero usufruirne lo richiede regolarmente, principalmente a causa dello stigma sociale ancora presente.

Dal punto di vista macroeconomico, emergono quattro considerazioni principali:

  • Il costo dell’assenteismo mascherato (donne che si assentano usando altri permessi o malattia generica) è già presente nel sistema
  • La produttività ridotta durante i giorni di dolore intenso rappresenta un costo nascosto per le aziende
  • Il miglioramento del benessere generale porta a una maggiore fedeltà all’azienda e riduce il turnover
  • La riduzione dello stress può diminuire l’incidenza di malattie correlate, con benefici per il sistema sanitario nazionale

Alcune analisi economiche suggeriscono che il costo diretto del congedo mestruale potrebbe essere compensato dai risparmi indiretti in termini di produttività complessiva, minore assenteismo non programmato e maggiore efficienza nei giorni di presenza.

Congedo mestruale: criteri di accesso, chi può richiederlo e come

Uno degli aspetti più dibattuti riguarda i criteri di accesso al congedo mestruale e le modalità pratiche di richiesta. Nelle legislazioni esistenti e nelle proposte in discussione, emergono alcuni elementi comuni.

La certificazione medica è quasi sempre un requisito fondamentale. Non basta dichiarare di soffrire di dolori mestruali: è necessaria una diagnosi di dismenorrea rilasciata da un ginecologo o da un medico di base. Questa certificazione può essere:

  • Permanente, se la condizione è cronica
  • Temporanea, soggetta a rivalutazione periodica

In alcuni Paesi, come la Spagna, la certificazione deve specificare il grado di invalidità temporanea causata dalla dismenorrea, mentre in altri contesti è sufficiente una diagnosi generale.

Quanto alle procedure di richiesta, variano significativamente:

  • Comunicazione preventiva al datore di lavoro (in alcuni casi con preavviso di 24-48 ore)
  • Presentazione della certificazione medica all’ufficio risorse umane
  • In alcuni contesti aziendali, compilazione di moduli specifici per il congedo mestruale
  • Possibilità di richiedere smart working invece dell’assenza completa (soluzione adottata da alcune aziende italiane)

La durata del congedo varia tipicamente da 1 a 3 giorni al mese, con casi eccezionali che prevedono fino a 5 giorni per condizioni particolarmente severe.

Congedo mestruale: ostacoli all’implementazione e criticità

Nonostante i potenziali benefici, l’implementazione del congedo mestruale incontra diverse resistenze e criticità che meritano un’analisi approfondita.

Il primo ostacolo è di natura culturale: il tabù che ancora circonda il ciclo mestruale. In molti ambienti di lavoro, specialmente in contesti più tradizionali o a predominanza maschile, esiste un imbarazzo diffuso nel parlare apertamente di questo tema. Questo porta molte donne a evitare di richiedere il congedo anche quando disponibile, per timore di stigmatizzazione.

Vi sono poi preoccupazioni di natura economica da parte delle aziende, soprattutto le PMI. Se lo stato non si fa carico della retribuzione durante il congedo (come avviene in Spagna), il costo ricade interamente sul datore di lavoro. Questo può generare resistenze, specialmente in settori con margini ridotti o in contesti economici fragili.

Un altro elemento critico riguarda il rischio, paradossale ma reale, di discriminazione all’assunzione. Alcune femministe e studiose di diritto del lavoro hanno sollevato il timore che una norma pensata per tutelare le donne possa trasformarsi in un boomerang, portando alcune aziende a preferire candidati maschi per evitare potenziali assenze mensili. Si tratta di un rischio che richiede attenta valutazione e misure di contrasto.

Non va trascurata, infine, la questione della privacy medica. La necessità di certificare la propria condizione può essere percepita come invasiva da alcune donne, creando un ulteriore ostacolo all’accesso.

Congedo mestruale: proposte di legge e dibattito attuale

Il dibattito sul congedo mestruale in Italia si è intensificato negli ultimi anni, con diverse proposte di legge che hanno tentato di regolamentare questa materia. La proposta più articolata, presentata nel 2023, prevedeva:

  • Fino a 3 giorni di congedo mensile per dismenorrea certificata
  • Retribuzione al 100% a carico dell’INPS (non delle aziende)
  • Necessità di rinnovo annuale della certificazione medica
  • Impossibilità di richiedere lavoro straordinario nei giorni immediatamente precedenti e successivi al congedo

Questa proposta aveva suscitato reazioni contrastanti: da un lato, associazioni femminili e sindacati l’avevano accolta favorevolmente; dall’altro, alcune organizzazioni datoriali avevano espresso preoccupazioni per possibili abusi del sistema. Il dibattito si è poi esteso ad aspetti collaterali ma rilevanti:

  • La possibilità di estendere il congedo anche a persone transgender e non binarie con ciclo mestruale
  • L’introduzione di misure complementari, come la distribuzione gratuita di prodotti per l’igiene mestruale nei luoghi di lavoro
  • Campagne informative per ridurre lo stigma sociale associato alle mestruazioni

Ad oggi, la legge sul congedo mestruale in Italia resta una questione aperta, con un dibattito che attraversa trasversalmente lo spettro politico e sociale.

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