distorsioni dell'ia

Immaginate di consigliare a una studentessa brillante di diventare insegnante mentre, con lo stesso profilo, avreste suggerito a uno studente maschio di puntare a una carriera manageriale. Vi sentireste a vostro agio dispensando consigli che nascondono (nemmeno poi tanto) una simile disparità? Probabilmente no. Eppure, questo è esattamente ciò che può accadere quando deleghiamo acriticamente alle intelligenze artificiali il compito di supportare l’orientamento professionale.

L’adozione massiccia di strumenti come ChatGPT, Gemini, Claude e altri sistemi generativi nel campo dell’orientamento sta trasformando le modalità di accesso all’informazione e supporto decisionale. Sempre più studenti e professionisti in transizione si rivolgono autonomamente a queste piattaforme per ottenere indicazioni sui percorsi formativi o sulle opportunità di carriera.

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Orientatori esperti, tuttavia, non possono ignorare questo fenomeno né sottovalutare le sue implicazioni. Risulta, piuttosto, urgente e necessario comprendere a fondo i meccanismi di distorsione sistematica che possono influenzare le risposte generate dall’IA, per poter indirizzare i candidati  verso un utilizzo critico e consapevole di questi strumenti.

La natura invisibile delle distorsioni algoritmiche

Il concetto di “bias” nell’ambito dell’IA identifica una distorsione sistematica che si manifesta nella raccolta, interpretazione o generazione di informazioni. A differenza degli errori casuali, i bias seguono pattern prevedibili e tendono a riprodursi in modo coerente, spesso senza che l’utente ne sia consapevole. La pericolosità di queste distorsioni risiede proprio nella loro invisibilità: le risposte appaiono neutre, oggettive e autorevoli, quando in realtà possono veicolare stereotipi, esclusioni o rappresentazioni parziali della realtà.

Le origini dei bias nei sistemi di intelligenza artificiale sono molteplici e stratificate. I dati utilizzati per addestrare i modelli costituiscono la prima fonte di distorsione. Questi sistemi apprendono da enormi quantità di testo estratto da internet, libri, social media e archivi pubblici. Se questi materiali contengono rappresentazioni sbilanciate della realtà, come una sovra-rappresentazione di figure maschili in posizioni di leadership o una sottorappresentazione di determinate professioni in specifici contesti geografici, il modello assorbirà e replicherà fedelmente queste asimmetrie.

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Le scelte progettuali dei programmatori rappresentano un secondo livello di potenziale distorsione. Gli algoritmi di apprendimento e ottimizzazione incorporano valori, priorità e assunzioni che riflettono inevitabilmente la visione del mondo di chi li progetta.

Infine, le modalità di interazione con gli utenti nel tempo possono rinforzare determinati pattern di risposta, creando circoli viziosi in cui le distorsioni si autoalimentano attraverso il feedback ricevuto.

Le cinque dimensioni della distorsione nei sistemi generativi

Comprendere la tassonomia dei bias aiuta gli orientatori a sviluppare un occhio critico più affinato. La distorsione nei dati di addestramento rappresenta la forma più basilare e pervasiva. I modelli linguistici vengono alimentati con corpus testuali che riflettono gli squilibri storici e sociali esistenti nella produzione culturale. Quando le fonti originali sovra rappresentano determinate categorie sociali, professioni o visioni del mondo, il sistema apprende che queste rappresentazioni costituiscono la norma e le riproduce sistematicamente nelle proprie risposte.

La distorsione culturale merita un’attenzione particolare nel contesto italiano. I principali modelli di IA vengono sviluppati prevalentemente negli Stati Uniti e riflettono valori come individualismo, competitività, meritocrazia e successo economico che possono non allinearsi perfettamente con contesti culturali diversi. Visioni più collettiviste, relazionali o orientate al benessere complessivo piuttosto che all’accumulo economico rischiano di essere marginalizzate o sottovalutate nelle raccomandazioni generate.

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La distorsione algoritmica opera a un livello più tecnico ma non meno rilevante. Le regole con cui il sistema viene progettato e ottimizzato possono produrre preferenze implicite per alcune tipologie di risposta. Gli algoritmi tendono spesso a privilegiare soluzioni considerate “sicure” o “popolari”, a scapito di alternative più originali ma meno frequenti nei dati di addestramento. Questo meccanismo favorisce la conservazione dello status quo e penalizza l’innovazione o i percorsi non convenzionali.

La distorsione da popolarità amplifica ulteriormente questo effetto. Le risposte generate tendono a riflettere le opinioni più frequenti presenti nei dati, comportando un rafforzamento della norma statistica e una ridotta capacità di rappresentare punti di vista minoritari, critici o emergenti. Nel campo dell’orientamento professionale, questo si traduce in una tendenza a proporre sempre le stesse professioni “mainstream” trascurando opportunità di nicchia che potrebbero essere perfettamente adatte a profili specifici.

Infine, la distorsione di formulazione evidenzia come il modo in cui una domanda viene posta influenzi la risposta del sistema. Domande formulate in modo distorto, cariche di pregiudizi o basate su assunzioni implicite problematiche generano risposte che rinforzano tali pregiudizi, creando un effetto specchio pericoloso in cui le convinzioni errate dell’utente vengono validate e amplificate dall’autorevolezza percepita della risposta automatica.

Quando i bias diventano barriere: l’orientamento sotto la lente critica

Nel contesto specifico dell’orientamento professionale, le distorsioni algoritmiche assumono una rilevanza particolare perché intervengono in un momento delicato della costruzione identitaria. Una raccomandazione sbilanciata può indirizzare profondamente le scelte formative e lavorative di una persona, con conseguenze che si protraggono per anni o addirittura per l’intera traiettoria professionale.

La distorsione di genere rappresenta forse la manifestazione più studiata e documentata. I sistemi possono riprodurre stereotipi occupazionali legati al genere nei suggerimenti professionali, anche quando i dati di input sono identici. Una studentessa che manifesta interesse per le materie umanistiche potrebbe ricevere suggerimenti orientati verso professioni di cura, relazione o educazione, mentre uno studente con lo stesso profilo potrebbe vedersi proporre ruoli manageriali, strategici o tecnici. È importante sottolineare che i principali sistemi di intelligenza artificiale attualmente disponibili hanno ricevuto un addestramento specifico per mitigare le disparità di genere più evidenti, ma distorsioni più sottili possono comunque manifestarsi nella scelta degli esempi, nel linguaggio utilizzato o nelle aspettative implicite veicolate.

La distorsione legata allo status socio-economico emerge dalla limitata capacità dell’intelligenza artificiale di considerare i vincoli reali che condizionano le scelte delle persone. I sistemi non hanno accesso spontaneo a informazioni sulla situazione economica, sulle reti familiari di supporto, sulla disponibilità di tempo, sullo stato di salute o su altre variabili che determinano concretamente la fattibilità di un percorso. Di conseguenza, possono proporre soluzioni irrealistiche o inaccessibili. Suggerire un master internazionale costoso a una persona disoccupata senza sostegno familiare rappresenta un esempio evidente di questa disconnessione tra raccomandazione algoritmica e contesto di vita reale.

La distorsione geografica si manifesta nella tendenza dei sistemi a proporre suggerimenti scollegati dal territorio di riferimento. Le raccomandazioni spesso riflettono opportunità disponibili in grandi città o contesti ad alta densità tecnologica, ignorando le specificità e i vincoli di chi vive in aree interne, rurali o periferiche. Questo tipo di distorsione può risultare particolarmente frustrante per utenti che non hanno la possibilità o il desiderio di trasferirsi, vedendosi proporre soluzioni sistematicamente inapplicabili al proprio contesto di vita.

La distorsione da normalizzazione spinge i sistemi a privilegiare le opzioni più comuni e statisticamente frequenti, trascurando percorsi atipici o poco noti che potrebbero invece rivelarsi particolarmente adatti a profili specifici. L’intelligenza artificiale fatica a valorizzare esperienze non convenzionali come il volontariato prolungato, l’autoformazione, le pratiche artistiche, l’attivismo sociale o i periodi di cura familiare, che spesso non hanno un peso adeguato nei dati tradizionali. Questa tendenza alla standardizzazione può soffocare la creatività e penalizzare chi ha costruito competenze attraverso percorsi non lineari.

La distorsione performativa riflette infine un’assunzione culturale secondo cui il successo professionale debba essere misurato prevalentemente in termini di reddito, avanzamento di carriera e status sociale. Questo orientamento può portare a svalutare sistematicamente scelte fondate su motivazioni vocazionali, relazionali, esistenziali o di equilibrio vita-lavoro, imponendo implicitamente una gerarchia di valori che non corrisponde alla pluralità delle aspirazioni legittime che le persone possono nutrire rispetto al proprio percorso professionale.

Leggere tra le righe: esempi concreti di distorsioni operative

Per comprendere appieno come questi meccanismi operino nella pratica quotidiana, è utile analizzare alcuni scenari concreti che illustrano le diverse tipologie di bias descritte.

Consideriamo il caso di due studenti diciassettenni che manifestano entrambi interesse per le materie umanistiche. La studentessa potrebbe ricevere suggerimenti orientati verso l’insegnamento, il lavoro sociale, la psicologia o la comunicazione, mentre lo studente con lo stesso identico profilo potrebbe vedersi proporre il giornalismo, la carriera legale, il project management culturale o la diplomazia. La differenza non risiede nelle competenze, negli interessi o nelle aspirazioni dichiarate, ma esclusivamente nel genere, con la studentessa indirizzata verso ruoli di cura e lo studente verso posizioni di maggiore visibilità e status.

Un secondo scenario riguarda una persona che vive in una zona rurale della Calabria e manifesta interesse per il lavoro nel digitale. La risposta tipo potrebbe suggerire di frequentare un bootcamp intensivo a Milano o Berlino, fare networking agli eventi tech delle grandi città e cercare stage nelle startup innovative. Questa raccomandazione ignora completamente i vincoli logistici, economici e relazionali legati al territorio, proponendo una soluzione standardizzata che presuppone mobilità illimitata, risorse economiche adeguate e assenza di vincoli familiari o personali. Una risposta più contestualizzata avrebbe dovuto considerare opportunità di formazione a distanza, possibilità di lavoro remoto, o lo sviluppo di competenze digitali spendibili nel contesto locale o regionale.

Un terzo caso riguarda una persona di trentacinque anni senza diploma formale, ma con anni di esperienza nel volontariato e nel lavoro di cura con persone fragili, che chiede se può trovare un’occupazione nel settore sociale. La risposta standard potrebbe sottolineare la necessità di una laurea in scienze dell’educazione o servizio sociale, suggerendo di iniziare un percorso universitario. Questa raccomandazione non offre alcun riconoscimento delle competenze già acquisite attraverso l’esperienza pratica e non propone percorsi di valorizzazione formale di tali competenze, come il bilancio delle competenze, la certificazione di soft skills, corsi brevi professionalizzanti o percorsi di riconoscimento dell’apprendimento pregresso. La distorsione da normalizzazione prevale sulla personalizzazione, imponendo il percorso standard come unica via legitima.

Costruire una pratica di orientamento professionale resistente alle distorsioni

Un orientatore, in virtù di quanto detto sopra, non dovrebbe nè demonizzare l’intelligenza artificiale né nel vietarne l’uso, ma, piuttosto, promuovere un utilizzo critico, consapevole e metodico che riconosca i limiti strutturali di questi strumenti. La prima strategia efficace consiste nell’educare i candidati a fornire contesti dettagliati nelle loro richieste. Incoraggiare le persone a specificare esplicitamente il luogo di residenza, i vincoli economici e logistici, i valori personali, le aspirazioni non economiche e la fase di vita in cui si trovano aumenta significativamente la qualità e la pertinenza delle risposte generate.

La seconda strategia implica lo sviluppo di una capacità di lettura critica delle risposte. Possiamo insegnare ai candidati a identificare i segnali di distorsione, a porsi domande sul tipo di assunzioni implicite veicolate dalle raccomandazioni ricevute, a notare quali opzioni vengono sistematicamente privilegiate e quali invece marginalizzate. Questo tipo di alfabetizzazione critica rappresenta una competenza trasferibile che va oltre l’uso dell’intelligenza artificiale e si applica più in generale alla valutazione di qualsiasi fonte informativa.

Per approfondire tecniche concrete di verifica dell’affidabilità delle risposte generate dall’IA, leggi il nostro articolo su come verificare l’affidabilità dell’intelligenza artificiale per accedere a metodi operativi immediatamente applicabili nella tua pratica professionale.

La terza strategia consiste nell’integrare l’intelligenza artificiale all’interno di un processo di orientamento più ampio, supervisionato da professionisti competenti. L’output generato da questi sistemi non dovrebbe mai costituire il punto di arrivo ma piuttosto un punto di partenza per un dialogo approfondito che contestualizzi, personalizzi e verifichi le informazioni ricevute. Il valore aggiunto della nostra professionalità risiede proprio nella capacità di mediare tra le raccomandazioni standardizzate e la complessità irriducibile di ogni biografia individuale.

È fondamentale inoltre promuovere una richiesta esplicita di considerazione delle diversità. Possiamo allenare noi stessi e i nostri utenti a formulare domande che costringano il sistema a uscire dai pattern più comuni. Chiedere esplicitamente “In che modo una persona senza laurea potrebbe lavorare in ambito sociale?” o “Quali opportunità nel digitale sono accessibili da aree rurali?” spinge l’intelligenza artificiale a cercare alternative ai percorsi standard, aumentando la probabilità di ottenere raccomandazioni più inclusive e contestualizzate.

Verso un orientamento potenziato ma non sostituito

L’intelligenza artificiale generativa rappresenta uno strumento potente che può amplificare significativamente la nostra capacità di fornire informazioni, esplorare opzioni e stimolare riflessioni. Tuttavia, la presenza di distorsioni sistemiche multiple e stratificate richiede un approccio cauto, critico e metodico. Gli orientatori, in virtù dell’importante ruolo che ricoprono, hanno la responsabilità di comprendere questi meccanismi non solo per proteggere i candidati da raccomandazioni potenzialmente dannose, ma anche per educarli a diventare consumatori consapevoli e critici di tecnologie che influenzeranno sempre più profondamente le loro scelte di vita.

La riduzione dell’impatto dei bias non passa attraverso il rifiuto di questi strumenti ma attraverso il loro uso intelligente, contestualizzato e sempre accompagnato da supervisione umana qualificata.

La vera innovazione nell’orientamento del futuro non consisterà nel delegare le decisioni agli algoritmi ma nel costruire sinergie efficaci tra le capacità computazionali dei sistemi artificiali e l’intelligenza emotiva, contestuale ed etica dei professionisti dell’orientamento. In questo scenario in rapida evoluzione, l’intelligenza artificiale sta ridisegnando il lavoro dell’orientatore in modi che richiedono un ripensamento profondo delle competenze professionali e degli approcci metodologici.

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