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Quanti orientatori si trovano intrappolati in una dinamica “perversa”: assecondare le aspettative irrealistiche dei propri utenti per non perdere la relazione, salvo poi assistere impotenti al loro fallimento quando la realtà si impone? La gestione delle aspettative irrealistiche è forse la competenza più delicata e meno insegnata nella formazione degli orientatori, eppure determina la differenza tra un intervento che produce trasformazione autentica e uno che alimenta solo illusioni destinate a infrangersi dolorosamente.
Il problema non è solo etico, ma anche strategico: un orientatore che non affronta le aspettative irrealistiche mina la propria credibilità professionale, genera utenti insoddisfatti che attribuiscono il fallimento al percorso di orientamento stesso e perpetua un ciclo di frustrazione che danneggia l’intera professione. Ma come si fa a dire a qualcuno che il suo sogno professionale è irraggiungibile senza spegnere la sua motivazione? Come si bilancia la necessità di essere realistici con il dovere di alimentare la speranza?
L’anatomia delle aspettative irrealistiche: capire prima di intervenire
Le aspettative irrealistiche non sono tutte uguali e comprendere la tipologia specifica con cui si ha a che fare è il primo passo per gestirle efficacemente. Alcune nascono da una mancanza di informazioni accurate sul mercato del lavoro: l’utente che crede di poter trovare facilmente un impiego con stipendio elevato in un settore saturo semplicemente perché ha una laurea. Altre derivano da distorsioni cognitive sistematiche: l’over-confidence bias che porta professionisti mediamente qualificati a credere di meritare ruoli dirigenziali o il planning fallacy che fa sottostimare drammaticamente i tempi necessari per una transizione di carriera.
Le categorie più comuni di aspettative irrealistiche includono:
- Aspettative temporali compresse: “In tre mesi voglio cambiare completamente settore e trovare un lavoro con il 30% di aumento”
- Aspettative di mercato distorte: pretendere condizioni contrattuali o retributive che il mercato non offre per quel profilo specifico
- Aspettative di riconoscimento eccessive: credere che le proprie competenze siano automaticamente trasferibili e riconosciute in contesti diversi
- Aspettative di cambiamento senza investimento: volere risultati significativi senza essere disposti a investire tempo, denaro o energia nel processo
- Aspettative magiche rispetto al ruolo dell’orientatore: attendersi che l’orientatore “trovi il lavoro” piuttosto che facilitare un processo di ricerca attiva
Ma c’è una categoria ancora più insidiosa: le aspettative protettive, quelle che l’utente mantiene non perché ci crede davvero, ma perché abbandonarle significa confrontarsi con verità dolorose su se stessi o sulla propria situazione. Il cinquantenne che continua a cercare posizioni identiche a quella persa perché accettare un ridimensionamento significherebbe ammettere una perdita di status irreversibile. La neolaureata che insiste per trovare il “lavoro perfetto” perché iniziare davvero significa rinunciare all’identità di “studente con potenziale illimitato” per diventare “professionista junior con limiti concreti”.
Il costo del silenzio: cosa succede quando l’orientatore non interviene
Molti orientatori, specialmente all’inizio della carriera, cadono nella trappola del silenzio accomodante. Di fronte a un utente che esprime aspettative chiaramente irrealistiche sperano che “la realtà gli farà aprire gli occhi” o che “con il tempo capirà da solo”. Questa strategia dell’evitamento genera conseguenze devastanti su tre livelli.
Sul piano dell’utente, il tempo passa senza progressi concreti, la frustrazione aumenta, e quando finalmente si scontra con la realtà, il trauma è ancora più violento perché arriva inaspettato e senza preparazione. Sul piano della relazione professionale, l’utente percepisce retrospettivamente l’orientatore come complice dell’illusione, qualcuno che “non ha avuto il coraggio di dirgli la verità”. Ma c’è un terzo livello ancora più problematico: il danno all’identità professionale dell’orientatore stesso. Ogni volta che un orientatore acconsente tacitamente a un’aspettativa irrealistica, sta compromettendo la propria integrità professionale. Non è possibile accompagnare efficacemente qualcuno verso obiettivi che si sa essere irraggiungibili. L’orientatore inizia a sperimentare dissonanza cognitiva, diventa meno energico negli incontri, perde fiducia nel proprio ruolo. In alcuni casi, per gestire questa dissonanza, l’orientatore può arrivare a razionalizzare: “Chi sono io per dire che è impossibile? Magari ce la fa contro ogni probabilità.” Questa razionalizzazione è comprensibile umanamente, ma professionalmente devastante.
Come esplorato nell’articolo su cosa fa l’orientatore, una delle responsabilità fondamentali del professionista è proprio quella di fungere da ponte realistico tra aspirazioni individuali e opportunità concrete del mercato del lavoro, e questa funzione non può essere esercitata nel silenzio accomodante.

Il confronto costruttivo: tecniche per affrontare le aspettative senza demolire la persona
La gestione efficace delle aspettative irrealistiche richiede un equilibrio delicatissimo: bisogna essere sufficientemente diretti da trasmettere la realtà, ma sufficientemente rispettosi da preservare la dignità e la motivazione dell’utente. Il primo errore da evitare è il confronto brutale: “Dimentichi pure quella posizione, è completamente fuori dalla tua portata.” Questo approccio distrugge la relazione e spesso produce reazioni difensive che irrigidiscono ancora di più l’utente nelle sue aspettative irrealistiche. Il secondo errore è il confronto troppo morbido e ambiguo: “Mmm, potrebbe essere un po’ difficile…” che l’utente interpreta come “difficile ma possibile” quando invece significa “praticamente impossibile”.
Un framework efficace per il confronto costruttivo prevede quattro fasi:
- Validazione dell’aspirazione sottostante: riconoscere i valori, bisogni o desideri legittimi che generano quell’aspettativa, separandoli dalla forma specifica irrealistica. “Capisco che per te sia importante mantenere un certo livello retributivo perché hai responsabilità familiari concrete…”
- Introduzione graduale dei dati di realtà: presentare informazioni oggettive sul mercato del lavoro, trend del settore, requisiti tipici, tempistiche realistiche, utilizzando fonti terze credibili. “I dati dell’Osservatorio del lavoro mostrano che per profili con la tua esperienza in quel settore, le transizioni riuscite richiedono mediamente 12-18 mesi…”
- Esplorazione collaborativa delle opzioni alternative: invece di dire “no” a un’aspettativa, aprire insieme il ventaglio di possibilità realistiche che soddisfano lo stesso bisogno sottostante. “Vediamo insieme quali percorsi potrebbero portarti verso quegli obiettivi economici in un arco temporale sostenibile…”
- Co-costruzione di un piano d’azione con milestone verificabili: creare insieme tappe intermedie che permetteranno di testare empiricamente la fattibilità degli obiettivi. “Proviamo nei prossimi due mesi a mandare candidature per ruoli di questo tipo e vediamo quanti colloqui riesci ad ottenere…”
Questa quarta fase è particolarmente potente perché trasforma il confronto da “io ti dico che sbagli” a “verifichiamo insieme cosa dice il mercato”. L’esperienza diretta del feedback di mercato è spesso più efficace di qualsiasi argomentazione dell’orientatore.

Il potere terapeutico del lutto professionale: accompagnare l’elaborazione della perdita
Una delle intuizioni più profonde nella gestione delle aspettative irrealistiche è riconoscere che spesso richiedono un processo di elaborazione del lutto. Quando un utente deve abbandonare un’aspettativa irrealistica fortemente investita emotivamente, sta attraversando una perdita reale: la perdita di un’identità professionale immaginata, di uno status sociale atteso, di un futuro visualizzato per anni. Ignorare questa dimensione emotiva e limitarsi agli aspetti razionali della gestione delle aspettative è inefficace.
L’orientatore può attingere consapevolmente alle fasi del lutto elaborate da Kübler-Ross, riconoscendo che l’utente potrebbe attraversare negazione (“Ma ci sono casi di persone che ce l’hanno fatta…”), rabbia (“È colpa del sistema che non riconosce le mie competenze!”), contrattazione (“E se provassi solo per altri sei mesi?”), depressione (“Allora non c’è speranza per me…”) prima di arrivare all’accettazione costruttiva. L’orientatore non può accelerare artificialmente questo processo, ma può accompagnarlo con presenza empatica e interventi calibrati.
Strategie per facilitare il lutto professionale:
- Creare spazio per l’espressione delle emozioni senza fretta di “risolvere” o “consolare” prematuramente
- Normalizzare la difficoltà del processo: “È naturale sentirsi destabilizzati quando si deve ricalibrare le proprie aspettative…”
- Aiutare a identificare cosa dell’obiettivo originale è ancora preservabile in forme alternative
- Celebrare i progressi nell’accettazione della realtà come segni di maturità professionale, non come rinunce o sconfitte
- Mantenere la prospettiva temporale: “Quello che sembra una rinuncia oggi potrebbe rivelarsi una liberazione domani”
Come approfondito nell’articolo su che cos’è l’orientamento, la disciplina non è solo informazione e strategia, ma anche accompagnamento nei passaggi evolutivi che richiedono rielaborazione identitaria, e la gestione delle aspettative irrealistiche è precisamente uno di questi passaggi cruciali.

Quando le aspettative “irrealistiche” si rivelano semplicemente ambiziose: il discernimento dell’orientatore
Esiste un rischio opposto altrettanto problematico: classificare come irrealistiche aspettative che sono semplicemente ambiziose o non convenzionali. Questo accade quando l’orientatore proietta i propri limiti, preconcetti o visione ristretta del mercato del lavoro sull’utente. La storia dell’orientamento professionale è piena di casi di persone che hanno realizzato transizioni considerate “impossibili” dai loro orientatori: il filosofo diventato data scientist, la biologa divenuta avvocato specializzato in proprietà intellettuale, il commercialista trasformato in game designer.
Il discernimento richiede all’orientatore di distinguere tra aspettative irrealistiche per insufficienza di comprensione della realtà e aspettative sfidanti che richiedono percorsi non standard ma possibili. I criteri chiave includono: l’utente è disposto a investire il tempo, l’energia e le risorse necessarie? Ha dimostrato capacità di apprendimento rapido in passato? Possiede caratteristiche personali (resilienza, creatività, network) che potrebbero compensare gap formali? È aperto a percorsi non lineari e a iniziare da posizioni intermedie?
Segnali che un’aspirazione “improbabile” potrebbe essere realizzabile:
- L’utente ha già fatto ricerche approfondite autonome e può articolare un piano, anche se imperfetto
- Dimostra flessibilità sui mezzi pur mantenendo chiarezza sui fini (sa cosa vuole raggiungere ma è aperto su come arrivarci)
- Ha già iniziato a costruire competenze rilevanti per l’obiettivo in modo proattivo
- Mostra capacità di tollerare l’incertezza e l’ambiguità senza paralizzarsi
- È disposto a testare progressivamente l’obiettivo con esperimenti a basso rischio prima di commitment totali
L’orientatore deve quindi coltivare una postura di ottimismo cauto e verificabile: non scoraggiare preventivamente, ma accompagnare l’utente in un processo di validazione empirica dell’aspirazione, dove sarà la realtà stessa a confermare o smentire la fattibilità, mentre l’orientatore fornisce supporto metodologico per questo processo di scoperta.
Conclusione: dalla gestione delle aspettative alla co-costruzione di traiettorie sostenibili
La gestione delle aspettative irrealistiche non è una competenza accessoria dell’orientatore, ma una delle sue funzioni centrali e identitarie. Essere efficaci in questo ambito significa padroneggiare simultaneamente tre registri: la dimensione informativa (portare dati di realtà accurati e aggiornati), la dimensione relazionale (mantenere alleanza e fiducia anche quando si trasmettono verità scomode) e la dimensione strategica (trasformare il confronto con i limiti in opportunità per esplorare alternative più sostenibili).
L’orientatore maturo sa che gestire aspettative irrealistiche non significa schiacciare sogni, ma aiutare le persone a distinguere tra fantasie consolatorie e aspirazioni realizzabili, tra ostinazione improduttiva e perseveranza strategica. Sa anche che il vero servizio professionale non è dire alle persone ciò che vogliono sentire, ma accompagnarle verso ciò di cui hanno bisogno per costruire carriere autenticamente soddisfacenti e sostenibili. Questo richiede coraggio, competenza tecnica e una profonda fiducia nella capacità delle persone di metabolizzare la realtà e trasformarla in punto di partenza per azioni concrete.
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CEO e co-fondatore di Jobiri, impresa innovativa che utilizza l’AI per facilitare l’inserimento lavorativo. Con oltre 15 anni di esperienza in management e leadership, Claudio è un esperto nella gestione aziendale e nelle tematiche di sviluppo organizzativo. La sua visione strategica e il suo impegno sociale fanno di lui un punto di riferimento nel settore.

