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Il periodo di comporto è il lasso di tempo durante il quale un lavoratore assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto di lavoro, senza che il datore di lavoro possa procedere al licenziamento. Questo periodo è stabilito dalla legge e dai contratti collettivi nazionali (CCNL) e può variare in base al settore di appartenenza, all’anzianità di servizio e alla tipologia di contratto.
Il periodo di comporto può essere di due tipi:
- Comporto secco: si riferisce a un’assenza continuativa per malattia o infortunio, durante la quale il lavoratore non riprende mai servizio prima della completa guarigione.
- Comporto frazionato: riguarda un insieme di assenze ripetute nel tempo, ma che, sommate, rientrano nell’arco temporale considerato per il computo del comporto.
Se il lavoratore supera il limite massimo previsto, il datore di lavoro può procedere con il licenziamento per superamento del periodo di comporto, salvo eccezioni o tutele specifiche previste dal CCNL di riferimento.
Perché è importante conoscere il periodo di comporto?
La conoscenza del periodo di comporto è cruciale sia per i lavoratori che per le aziende, poiché determina un equilibrio tra il diritto alla salute del dipendente e le esigenze organizzative dell’impresa.
Per i lavoratori
- Garantisce la sicurezza del posto di lavoro durante la malattia
- Aiuta a comprendere per quanto tempo si può restare assenti senza rischiare il licenziamento
- Permette di adottare strategie per evitare il superamento del comporto, come chiedere aspettativa non retribuita o valutare alternative contrattuali.
Per i datori di lavoro
- Fornisce un quadro normativo chiaro per la gestione delle assenze per malattia
- Aiuta a evitare contenziosi legali derivanti da licenziamenti non conformi alla normativa
- Permette di pianificare in modo efficace la sostituzione temporanea del lavoratore assente.
Periodo di comporto significato e definizione
Il periodo di comporto è una tutela riconosciuta ai lavoratori dipendenti che, a causa di una malattia o di un infortunio, si trovano impossibilitati a svolgere la propria attività lavorativa. Durante questo arco di tempo, il dipendente ha il diritto alla conservazione del posto di lavoro, a condizione che l’assenza non superi il limite massimo previsto dalla legge o dal contratto collettivo nazionale applicato al rapporto di lavoro.
Nel diritto del lavoro italiano, il comporto rappresenta un equilibrio tra il diritto del lavoratore alla salute e alla protezione del proprio impiego e l’interesse del datore di lavoro a garantire la continuità operativa dell’azienda. Il suo fondamento giuridico si trova nell’articolo 2110 del Codice Civile, il quale stabilisce che, in caso di malattia o infortunio, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto per un determinato periodo, decorso il quale il datore può procedere al licenziamento.
Il periodo di comporto si applica a tutti i lavoratori dipendenti, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, salvo alcune eccezioni o condizioni specifiche dettate dai contratti collettivi. I criteri per il calcolo della durata variano in base al settore lavorativo, all’anzianità di servizio e alla tipologia di malattia o infortunio. Ad esempio, il periodo di comporto per i lavoratori del settore metalmeccanico può essere diverso da quello previsto per il settore del commercio o del pubblico impiego.
Normativa sul periodo di comporto
Il periodo di comporto è disciplinato dalla normativa italiana attraverso un mix di disposizioni legislative e regolamenti contrattuali che definiscono i diritti e i doveri di lavoratori e datori di lavoro. Le principali fonti normative di riferimento sono il Codice Civile, che stabilisce le basi generali del diritto alla conservazione del posto di lavoro in caso di malattia, e i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL), che ne regolano i dettagli applicativi, come la durata e le condizioni specifiche.
Il Codice Civile, all’articolo 2110, stabilisce che, in caso di malattia o infortunio, il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro per un periodo determinato. Durante questo periodo, il datore di lavoro non può interrompere unilateralmente il rapporto lavorativo, salvo nei casi in cui il comporto venga superato. Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è quindi considerato legittimo solo se il datore di lavoro rispetta le disposizioni contrattuali e le eventuali tutele previste dalla legge o dai regolamenti aziendali. Inoltre, l’articolo 2110 prevede che la durata del comporto venga stabilita dai contratti collettivi, lasciando quindi spazio a regolamentazioni specifiche per settore.
I Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) svolgono un ruolo cruciale nella definizione del comporto, stabilendo la durata massima delle assenze consentite prima che il lavoratore possa essere licenziato. Ogni settore può prevedere limiti differenti, in base alle esigenze produttive e alle peculiarità delle mansioni svolte. Ad esempio, il CCNL metalmeccanici fissa un periodo di comporto variabile in base all’anzianità del lavoratore, mentre nel settore del commercio o della pubblica amministrazione possono esistere durate differenti e tutele più estese.
I CCNL possono anche introdurre ulteriori garanzie per i lavoratori, come il diritto a un prolungamento del comporto in presenza di particolari condizioni di salute, oppure prevedere un’aspettativa non retribuita per chi si trova in situazioni di grave malattia. Alcuni contratti, inoltre, richiedono che il datore di lavoro informi preventivamente il dipendente prima di procedere con il licenziamento per superamento del periodo di comporto, offrendo in alcuni casi la possibilità di contestare il provvedimento o di valutare soluzioni alternative.
L’interpretazione della normativa e dei contratti collettivi è fondamentale per evitare licenziamenti illegittimi o errori nella gestione delle assenze per malattia. La mancata applicazione corretta del comporto può infatti portare a contenziosi tra lavoratore e datore di lavoro, con possibili conseguenze legali ed economiche per entrambe le parti.
Periodo di comporto malattia: come funziona
Il periodo di comporto assume particolare rilevanza nei casi di assenze prolungate per malattia, poiché rappresenta il limite oltre il quale il datore di lavoro può legittimamente interrompere il rapporto lavorativo. Quando un dipendente si trova in una condizione di salute tale da impedirgli di svolgere la propria attività per un lungo periodo, è fondamentale comprendere quali siano i suoi diritti e le modalità di gestione dell’assenza, sia dal punto di vista della normativa che della documentazione necessaria per certificare la malattia.
Se la malattia si protrae per un periodo esteso, il calcolo del comporto dipende dal contratto collettivo applicato. Alcuni contratti prevedono una durata massima del comporto più estesa per malattie gravi o invalidanti, mentre altri stabiliscono una soglia fissa oltre la quale il datore di lavoro può procedere al licenziamento per superamento del periodo di comporto. In alcuni casi, il lavoratore può richiedere un periodo di aspettativa non retribuita o altre misure di tutela per prolungare l’assenza senza perdere il posto di lavoro.
Un aspetto cruciale nella gestione delle assenze per malattia è la distinzione tra malattia comune e malattia professionale. La malattia comune include tutte quelle patologie che non sono direttamente riconducibili all’attività lavorativa, come influenze, polmoniti o patologie croniche di vario genere. Il periodo di comporto per la malattia comune è regolato dai contratti collettivi e si basa su un conteggio standardizzato dei giorni di assenza.
Diversa è la situazione per la malattia professionale, ovvero quelle patologie che derivano dall’attività lavorativa e che sono riconosciute dall’INAIL. Tra queste rientrano disturbi muscoloscheletrici, patologie da esposizione a sostanze nocive o malattie derivanti da stress da lavoro correlato. In questi casi, il periodo di comporto può essere disciplinato diversamente rispetto alla malattia comune, poiché entrano in gioco forme di tutela aggiuntive previste dalla legge. Inoltre, la malattia professionale viene risarcita dall’INAIL, con specifici indennizzi che coprono anche eventuali riduzioni della capacità lavorativa.
Per ottenere il riconoscimento della malattia e beneficiare del diritto alla conservazione del posto di lavoro, è necessario fornire la documentazione medica adeguata. Il certificato medico è il primo documento essenziale, che deve essere rilasciato dal medico curante e trasmesso telematicamente all’INPS. La trasmissione è un obbligo del medico, ma il lavoratore è tenuto a verificare che il datore di lavoro ne abbia ricevuto copia e sia informato dell’assenza. In caso di malattia prolungata, il lavoratore può essere sottoposto a controlli da parte del medico fiscale inviato dall’INPS, il cui compito è verificare la legittimità dello stato di malattia.
Nei casi di malattia professionale, il lavoratore deve presentare una denuncia all’INAIL, corredata da certificati medici specialistici che attestino il legame tra la patologia e l’attività lavorativa svolta. L’INAIL avvierà quindi una procedura di accertamento per determinare l’eventuale indennizzo e il diritto a tutele specifiche, come l’esonero parziale dal periodo di comporto o l’accesso a misure di reinserimento lavorativo.
Superamento del periodo di comporto e licenziamento
Quando un lavoratore assente per malattia supera il periodo di comporto previsto dal proprio contratto collettivo o dalla normativa vigente, il datore di lavoro acquisisce il diritto di interrompere il rapporto di lavoro. Questo significa che, salvo eventuali tutele specifiche, il dipendente può essere licenziato per superamento del periodo di comporto. Tuttavia, il licenziamento non è automatico e deve avvenire nel rispetto di precise regole procedurali, altrimenti può essere considerato illegittimo.
Superare il periodo di comporto implica che il lavoratore non abbia più il diritto alla conservazione del posto, ma non significa necessariamente che il datore di lavoro sia obbligato a licenziarlo. Alcuni contratti collettivi prevedono la possibilità di chiedere un periodo di aspettativa non retribuita, specialmente in caso di malattie gravi o invalidanti. In altre situazioni, il datore di lavoro può scegliere di attendere il rientro del dipendente se ritiene che la sua professionalità sia importante per l’azienda. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, una volta esaurito il periodo di comporto, il licenziamento diventa una possibilità concreta.
Il licenziamento per superamento del periodo di comporto è considerato legittimo solo se il datore di lavoro rispetta determinati requisiti. In primo luogo, deve essere verificato che l’effettiva durata dell’assenza abbia superato il limite stabilito dal contratto collettivo applicato. Inoltre, il datore di lavoro è tenuto a comunicare il licenziamento con una lettera formale, specificando le motivazioni e facendo riferimento al superamento del comporto. Alcuni contratti collettivi impongono anche l’obbligo di una comunicazione preventiva, per permettere al lavoratore di valutare eventuali alternative, come la richiesta di aspettativa o un reintegro con mansioni compatibili con il proprio stato di salute.
Un licenziamento per superamento del periodo di comporto può risultare illegittimo se il datore di lavoro non ha rispettato le procedure previste o se il lavoratore gode di particolari tutele. Ad esempio, la giurisprudenza ha stabilito che il datore di lavoro non può procedere con il licenziamento se il dipendente si trova in una situazione di invalidità riconosciuta o se la malattia è legata a cause di lavoro, come nel caso di malattia professionale. Anche le discriminazioni e le rappresaglie possono rendere nullo un licenziamento, specialmente se il lavoratore è in condizioni di particolare fragilità, come in caso di maternità o di malattia oncologica.
Chi ritiene di essere stato licenziato ingiustamente può impugnare il provvedimento entro 60 giorni dalla ricezione della lettera di licenziamento. È consigliabile raccogliere tutta la documentazione medica che attesti lo stato di malattia e verificare se il periodo di comporto sia stato effettivamente superato, considerando eventuali proroghe o deroghe previste dal contratto. In caso di dubbio, rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto del lavoro o a un sindacato può essere determinante per ottenere giustizia. In alcune circostanze, il giudice può disporre il reintegro del lavoratore o il pagamento di un’indennità economica a titolo di risarcimento.
Strategie efficaci per superare il periodo di comporto
Gestire correttamente il periodo di comporto è fondamentale per evitare il rischio di licenziamento a causa di un’assenza prolungata per malattia. Esistono diverse strategie che il lavoratore può adottare per tutelarsi, ridurre l’impatto delle assenze sul proprio rapporto di lavoro e, quando possibile, evitare il superamento del comporto.
Una delle prime azioni che un lavoratore può mettere in atto è tenere sotto controllo il numero di giorni di assenza accumulati. Ogni CCNL prevede una durata specifica del comporto, che può essere secca o frazionata, quindi è essenziale conoscere il proprio contratto per sapere esattamente quanti giorni sono disponibili. Se l’assenza per malattia si prolunga nel tempo, è utile monitorare la situazione e verificare con l’ufficio del personale o con un consulente del lavoro quanti giorni di comporto siano già stati utilizzati.
Essere consapevoli dei propri diritti e doveri aiuta a evitare sorprese e a gestire il rapporto con il datore di lavoro in modo trasparente. Il lavoratore ha il diritto di conservare il posto di lavoro durante il comporto, ma è tenuto a rispettare una serie di obblighi, tra cui la tempestiva comunicazione dell’assenza, l’invio dei certificati medici e la reperibilità nelle fasce orarie stabilite per i controlli del medico fiscale dell’INPS. Il mancato rispetto di questi obblighi può portare alla decurtazione dell’indennità di malattia o, in alcuni casi, anche a provvedimenti disciplinari.
Se il lavoratore si avvicina al limite massimo del comporto e necessita di ulteriore tempo per la guarigione, è possibile richiedere strumenti alternativi per prolungare l’assenza senza perdere il posto di lavoro. Alcuni contratti collettivi prevedono la possibilità di aspettativa non retribuita, un periodo di assenza prolungata durante il quale il rapporto di lavoro rimane sospeso ma il lavoratore conserva il diritto alla riassunzione. L’aspettativa può essere concessa per motivi di salute particolarmente gravi, ma la sua approvazione dipende dalla volontà del datore di lavoro, a meno che non sia espressamente prevista dal contratto collettivo.
Un’altra possibilità è verificare se la malattia sia riconducibile a cause professionali, nel qual caso potrebbe rientrare nella tutela dell’INAIL anziché in quella del comporto. In questo caso, la tutela può estendersi e garantire un diverso tipo di protezione, evitando il rischio di licenziamento immediato. Anche in caso di patologie invalidanti o croniche, esistono strumenti come il riconoscimento dell’invalidità civile o l’accomodamento ragionevole previsto dalla normativa sulla disabilità, che può permettere al lavoratore di essere ricollocato in mansioni compatibili con il suo stato di salute.
Mantenere un dialogo aperto con il datore di lavoro può essere utile per trovare soluzioni alternative, come il rientro graduale attraverso una riduzione dell’orario di lavoro o la possibilità di svolgere attività meno pesanti. Alcune aziende, specialmente nei settori con forte tutela sindacale, possono concedere proroghe del comporto o percorsi di reinserimento per i dipendenti che stanno rientrando da una lunga malattia.
Gestire il periodo di comporto con attenzione, conoscere le proprie tutele e pianificare eventuali alternative è essenziale per garantire la continuità lavorativa e affrontare una malattia con maggiore serenità.
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