lavorare in pensione

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Dopo quasi trent’anni di consulenza previdenziale, posso affermare con certezza che la domanda “si può lavorare in pensione?” è diventata sempre più frequente, soprattutto negli ultimi anni. Non è più raro incontrare persone che, pur avendo raggiunto l’agognato traguardo pensionistico, desiderano o necessitano di continuare a lavorare. Le motivazioni sono diverse: per alcuni è una questione economica, per altri è il desiderio di mantenersi attivi, per altri ancora è la possibilità di trasmettere competenze ed esperienze accumulate nel corso della vita lavorativa.

La risposta breve è sì, si può lavorare in pensione, ma con alcune importanti precisazioni e limitazioni che variano in base al tipo di pensione percepita e alla tipologia di attività lavorativa che si intende svolgere. Il quadro normativo in materia ha subito diverse modifiche negli anni, con una tendenza generale verso una maggiore liberalizzazione, ma resta comunque un sistema articolato che merita un’analisi attenta.

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L’evoluzione normativa: verso la liberalizzazione

La normativa riguardo alla tematica in questione era nata in un contesto storico-economico completamente diverso da quello attuale, in cui l’obiettivo era favorire il ricambio generazionale, “liberando” posti di lavoro per i più giovani. Un’impostazione che, col senno di poi, si è rivelata piuttosto miope.

Nel corso degli anni, fortunatamente, il legislatore ha progressivamente rivisto questa impostazione. La svolta decisiva è arrivata con la Legge n. 133/2008, che ha sostanzialmente eliminato i divieti di cumulo per le pensioni di anzianità, seguita dalla Legge n. 122/2010 che ha ulteriormente ampliato le possibilità di cumulo. Successivamente, abbiamo assistito a continui aggiustamenti normativi che hanno portato alla situazione attuale, caratterizzata da un regime piuttosto liberale, seppur con alcune eccezioni che vedremo.

Questa evoluzione riflette un cambio di paradigma non indifferente: da una visione della pensione come “ritiro” definitivo dal lavoro a una concezione più flessibile, che riconosce valore all’esperienza dei lavoratori anziani e che considera il lavoro in età avanzata non più come un’anomalia ma come una componente potenzialmente positiva sia per l’individuo che per la società.

Lavorare in pensione: un quadro generale

Le regole sul cumulo tra pensione e redditi da lavoro variano in base a diversi fattori, tra cui:

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  • il tipo di pensione percepita
  • la tipologia di attività lavorativa svolta
  • l’entità dei redditi percepiti (in alcuni casi)

Vediamo i casi principali.

Pensione di vecchiaia

Per chi percepisce una pensione di vecchiaia (quella conseguita al raggiungimento dell’età pensionabile, attualmente 67 anni), la situazione è piuttosto chiara: è possibile cumulare integralmente la pensione con qualsiasi reddito da lavoro, sia dipendente che autonomo. Non esistono limiti di reddito né riduzioni dell’assegno pensionistico.

Mi capita spesso di incontrare clienti sorpresi da questa possibilità, convinti che percepire redditi da lavoro comporti automaticamente una riduzione della pensione. In realtà, una volta raggiunta l’età per la pensione di vecchiaia, sono in pensione e posso lavorare senza alcuna limitazione.

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Pensione anticipata

Anche per chi ha ottenuto la pensione anticipata (quella basata esclusivamente sul raggiungimento di un determinato numero di anni di contribuzione), la situazione è favorevole: dal 2009, grazie alla già citata legge 133/2008, è possibile cumulare integralmente la pensione con redditi da lavoro sia dipendente che autonomo.

È stato un cambiamento davvero significativo, specialmente per quei lavoratori che hanno iniziato molto giovani e hanno maturato i requisiti contributivi ben prima dell’età pensionabile standard. Una volta, queste persone si trovavano di fronte a un bivio: continuare a lavorare rinunciando alla pensione maturata o andare in pensione rinunciando completamente all’attività lavorativa. Oggi, fortunatamente, questa dicotomia non esiste più.

Pensione di invalidità

Il discorso si complica per le pensioni di invalidità, dove persistono alcune limitazioni. Per l’assegno ordinario di invalidità, l’importo della prestazione subisce una riduzione in presenza di redditi da lavoro: del 25% se il reddito supera quattro volte il trattamento minimo INPS e del 50% se supera cinque volte tale importo.

La pensione di inabilità, invece, è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa, dato che presuppone un’incapacità totale al lavoro. In questo caso, l’avvio di un’attività lavorativa comporterebbe la revoca del trattamento pensionistico.

Su questo tema, la mia esperienza professionale mi ha insegnato che è fondamentale un’attenta valutazione caso per caso. Ho visto situazioni in cui, paradossalmente, la ripresa di un’attività lavorativa, seppur limitata, ha comportato uno svantaggio economico complessivo a causa delle riduzioni dell’assegno di invalidità.

Pensione ai superstiti

Anche per la pensione ai superstiti (la cosiddetta pensione di reversibilità) esistono limitazioni al cumulo con redditi da lavoro. L’importo della pensione viene ridotto del 25%, 40% o 50% a seconda dell’entità del reddito del beneficiario.

Questo è un aspetto che spesso genera confusione e, talvolta, sorprese spiacevoli. Mi è capitato di assistere clienti che, dopo aver iniziato un’attività lavorativa, si sono visti ridurre significativamente l’assegno di reversibilità, senza essere stati adeguatamente informati in anticipo su questa possibilità.

Pensione quota 100, 102 e 103

Un capitolo a parte meritano le pensioni conseguite con le formule “quota”. Per queste forme di pensionamento anticipato, introdotte in via sperimentale negli ultimi anni, vigono regole particolari sul fronte del cumulo con redditi da lavoro.

Per chi è andato in pensione con “Quota 100” o “Quota 102”, esiste un vero e proprio divieto di cumulo con redditi da lavoro, fatta eccezione per quelli derivanti da lavoro autonomo occasionale entro i 5.000 euro lordi annui. Questa limitazione permane fino al raggiungimento dell’età prevista per la pensione di vecchiaia (67 anni).

Per “Quota 103”, introdotta dalla legge di bilancio 2023, il regime è leggermente diverso: non c’è un divieto assoluto, ma l’importo della pensione viene ricalcolato secondo il metodo contributivo, generalmente meno favorevole, in caso di cumulo con redditi da lavoro.

Queste limitazioni sono state oggetto di vivaci discussioni tra gli addetti ai lavori. Personalmente, ritengo che rappresentino una sorta di “compromesso” tra l’esigenza di flessibilità in uscita dal mondo del lavoro e la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale. Va detto che, nella pratica, queste norme hanno creato non poche complicazioni, soprattutto per attività lavorative saltuarie o di modesta entità.

Lavorare in pensione con Partita IVA

Una domanda ricorrente riguarda la possibilità di aprire una Partita IVA dopo il pensionamento. Anche in questo caso, la risposta è generalmente positiva, ma con alcune precisazioni.

Per i pensionati di vecchiaia o i titolari di pensione anticipata, non esistono limitazioni specifiche: è possibile aprire una Partita IVA e svolgere attività professionale o imprenditoriale senza che questo influisca sull’assegno pensionistico. Vanno ovviamente rispettati tutti gli adempimenti fiscali e contributivi previsti per l’attività specifica.

Sul fronte contributivo, il pensionato che avvia un’attività autonoma è tenuto a versare i contributi previdenziali alla gestione di riferimento (Gestione Artigiani e Commercianti o Gestione Separata INPS), ma questi versamenti possono generare un supplemento di pensione dopo due anni di contribuzione.

Una particolarità riguarda la Gestione Separata INPS: i pensionati che vi sono iscritti godono di un’aliquota contributiva ridotta rispetto agli altri iscritti, un vantaggio non trascurabile che può rendere più conveniente questa forma di attività rispetto ad altre.

Nel mio lavoro di consulenza, ho assistito diversi clienti che, dopo la pensione, hanno deciso di mettersi in proprio, spesso in settori diversi da quelli in cui avevano operato come dipendenti. In molti casi, si è trattato di una sorta di “ritorno alle origini”, con la riscoperta di passioni e competenze messe da parte durante la carriera lavorativa principale.

Il regime fiscale: vantaggi e svantaggi

Un aspetto da non sottovalutare quando si parla di lavorare in pensione consigli riguarda il regime fiscale. I redditi da lavoro percepiti durante la pensione si sommano all’assegno pensionistico ai fini IRPEF, con il rischio di far scattare aliquote più elevate.

Questo è un elemento che richiede una valutazione attenta, specialmente per chi percepisce pensioni di importo medio-alto. In alcuni casi, l’incremento di reddito può comportare un prelievo fiscale significativo, riducendo il vantaggio economico dell’attività lavorativa.

D’altra parte, per chi percepisce pensioni di importo modesto, l’integrazione con redditi da lavoro può rappresentare una strategia efficace per migliorare il proprio tenore di vita, mantenendosi comunque in fasce di reddito con aliquote IRPEF contenute.

Un aspetto interessante riguarda la possibilità, per i pensionati che avviano un’attività autonoma, di accedere a regimi fiscali agevolati come il regime forfettario, che prevede un’imposta sostitutiva del 15% (o 5% per le start-up) in luogo della tassazione IRPEF ordinaria. Questa opzione può risultare particolarmente vantaggiosa in molti casi.

Impatti sulla previdenza: cosa succede ai contributi versati?

I contributi versati durante l’attività lavorativa svolta in pensione non sono “persi”, ma possono generare prestazioni aggiuntive. Le modalità variano in base al tipo di attività e alla gestione previdenziale coinvolta.

Per il lavoro dipendente o parasubordinato, i contributi versati possono dare diritto a un supplemento di pensione, richiedibile dopo due anni dal pensionamento e, successivamente, ogni cinque anni. Per l’attività autonoma in Gestione Artigiani e Commercianti, valgono regole simili.

Un caso particolare riguarda i pensionati che, avendo versato contributi in diverse gestioni previdenziali durante la vita lavorativa, potrebbero valutare l’opportunità di richiedere un ricalcolo della pensione attraverso il cumulo o la totalizzazione dei contributi, includendo anche quelli versati dopo il pensionamento.

Nella mia esperienza, ho notato che questo aspetto è spesso trascurato, ma può rappresentare un vantaggio economico non indifferente nel lungo periodo, specialmente per chi continua a lavorare per diversi anni dopo il pensionamento.

Considerazioni pratiche e strategiche

Al di là degli aspetti normativi e fiscali, lavorare in pensione eliminati gli ultimi vincoli solleva questioni più ampie, che meritano una riflessione.

Sul piano personale, continuare a lavorare dopo la pensione può avere effetti positivi sul benessere psicofisico, mantenendo attivi, socialmente integrati e mentalmente stimolati. Numerosi studi dimostrano i benefici di un “invecchiamento attivo”, che include anche la prosecuzione di un’attività lavorativa, seppur con modalità e ritmi diversi rispetto alla fase centrale della carriera.

D’altra parte, è importante trovare un equilibrio che permetta di godere anche dei benefici della pensione: più tempo libero, meno stress, possibilità di dedicarsi a interessi e passioni. Non ha senso passare da un lavoro a tempo pieno pre-pensione a un impegno altrettanto gravoso post-pensione, vanificando i vantaggi di questa nuova fase della vita.

Una strategia che ho visto funzionare bene per molti miei clienti è quella del “tapering lavorativo”: una riduzione graduale dell’impegno lavorativo, passando magari da un contratto full-time a uno part-time, o da un’attività autonoma a tempo pieno a consulenze mirate e selezionate.

Alcune aziende illuminate stanno sviluppando programmi specifici di “Silver Work”, che prevedono formule contrattuali flessibili per trattenere le competenze dei lavoratori anziani, magari con ruoli di mentoring verso i più giovani. È un approccio win-win che valorizza l’esperienza senza ostacolare il ricambio generazionale.

Lavorare in pensione: prospettive future

Il tema del lavoro in età avanzata e durante la pensione è destinato a diventare sempre più rilevante nei prossimi anni, per ragioni demografiche (invecchiamento della popolazione), economiche (sostenibilità dei sistemi previdenziali) e sociali (cambiamento delle aspettative e degli stili di vita).

È probabile che assistiremo a ulteriori evoluzioni normative in direzione di una maggiore flessibilità e di un superamento della concezione tradizionale di pensionamento come evento che segna una cesura netta tra vita lavorativa e non lavorativa.

Già oggi, alla domanda “si può lavorare in pensione?” possiamo rispondere prevalentemente in modo affermativo, con le precisazioni che abbiamo visto. In futuro, è verosimile che le eccezioni e le limitazioni ancora esistenti verranno progressivamente superate, in favore di un sistema che lasci maggiore libertà di scelta agli individui.

In conclusione, se stai considerando di continuare a lavorare dopo la pensione, il mio consiglio è di informarti accuratamente sulle regole applicabili al tuo caso specifico, valutare attentamente gli aspetti fiscali e contributivi, ma soprattutto riflettere su cosa desideri davvero da questa nuova fase della vita, cercando un equilibrio che massimizzi non solo il beneficio economico, ma anche la qualità della vita nel suo complesso.

La pensione non deve necessariamente segnare la fine della vita lavorativa, ma può rappresentare l’inizio di una nuova fase, caratterizzata da maggiore libertà di scelta e da un diverso equilibrio tra lavoro e tempo libero. L’importante è affrontare questa transizione con consapevolezza e con una strategia chiara, sfruttando le opportunità offerte dall’attuale quadro normativo.

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